Obbligo vaccinale, sospensione del rapporto di lavoro previo onere di repechage
Pubblicato il 20 settembre 2021
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Dopo i Tribunali di Belluno, Bolzano, Treviso, Verona e Modena, anche il Tribunale di Milano si pronuncia sulla legittimità della sospensione del rapporto di lavoro e della relativa retribuzione per il personale sanitario che non ha aderito alla campagna vaccinale, rilevando, però, l’onere di repechage che incombe sul datore di lavoro.
Nel caso affrontato nella sentenza 15 settembre 2021, n. 2316, il giudice accoglieva parzialmente il ricorso del lavoratore, confermando, come da recenti orientamenti giurisprudenziali, le misure di tutela adottate dal datore di lavoro, in ottemperanza agli obblighi di cui all’art. 2087, Cod. Civile, consistenti nel richiedere agli operatori della RSA l’adesione alla campagna di vaccinazione anti Covid-19.
In mancanza di riscontro da parte del lavoratore, il datore di lavoro si spingeva a sospendere unilateralmente dal servizio e dal trattamento retributivo il prestatore di lavoro, in ragione della ritenuta incompatibile frequentazione dei locali aziendali e della specifica organizzazione del lavoro con la salubrità e la sicurezza dell’ambiente lavorativo.
Veniva, dunque, rilevata, dal giudice di prime cure, la fattispecie della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, risultando, il prestatore di lavoro socio-sanitario non sottoposto a vaccinazione, temporaneamente inidoneo allo svolgimento della prestazione tipica, prevedente il contatto con soggetti fragili e potenzialmente attingibili dalle gravi o fatali conseguenze dell’infezione da Covid-19. Pregiudizio che, presumibilmente, diviene perdurante sino a sottoposizione al ciclo vaccinale completo o alla cessazione dell’emergenza epidemiologica.
Ciò assunto, la sospensione del rapporto di lavoro e della relativa retribuzione rappresenta l’extrema ratio del provvedimento datoriale e, come tale, deve essere sorretto da specifici oneri di verifica della sussistenza in azienda di eventuali posizioni alternative, astrattamente assegnabili al lavoratore, atte a preservare la condizione occupazionale e retributiva ed assicurare le esigenze di tutela dal rischio di diffusione del SARS-CoV-2.
Invero, anche in tali ipotesi, sul datore di lavoro grava un onere probatorio analogo a quello previsto nei casi di licenziamento per impossibilità definitiva della prestazione (impossibilità di repechage).
Nella fattispecie sottoposta a giudizio di merito, accertata l’impossibilità di riammissione in servizio del lavoratore che, alla data della sentenza, non aveva ancora aderito alla compagna di vaccinazione – anche in ragione delle previsioni di cui all’art. 4, Decreto Legge 1° aprile 2021, n. 44, non avendo il datore di lavoro assolto all’onere di provare l’impossibilità di ricollocare la lavoratrice ad altre mansioni equivalenti o, anche, inferiori, il provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita è da considerarsi illegittimo, con pagamento, a favore della ricorrente, delle retribuzioni maturate dalla data di sospensione alla data di effettiva riammissione in servizio o di legittima sospensione della prestazione lavorativa.
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