Non vi è offesa risarcibile, se le espressioni rivolte all’imputato non esulano la vicenda processuale
Autore: Eleonora Mattioli
Pubblicato il 13 aprile 2015
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Con sentenza n.7119 del 9 aprile 2015, la Corte di Cassazione ha respinto la domanda dell’imputato, poi assolto, volta ad ottenere il risarcimento del danno dalla parte civile che, nel costituirsi nel processo penale, aveva impiegato espressioni presumibilmente offensive nei suoi confronti, dunque lesive del suo diritto all’immagine.
La Cassazione, in proposito – condividendo quanto già dedotto dai giudici di secondo grado – ha ritenuto la pretesa non meritevole di accoglimento, in quanto le espressioni potenzialmente offensive – tra l’altro indicate dal ricorrente in modo del tutto generico – non sarebbero risultate estranee all’oggetto del processo penale.
Invero, ha poi rilevato la Suprema Corte, come sia del tutto plausibile che all’interno degli scritti difensivi con cui si costituisce la parte civile nel processo penale, siano contenute prospettazioni accusatorie nei confronti dell’imputato (altrimenti la stessa costituzione non avrebbe senso).
Nella fattispecie tuttavia, le espressioni impiegate da parte civile non potevano dirsi offensive, in quanto altro non riferivano che i reiterati episodi truffaldini già addebitati all’imputato, del tutto in linea con la vicenda processuale in oggetto.
Viceversa, ai fini del richiesto risarcimento, l’imputato, poi assolto, avrebbe dovuto dimostrare la totale estraneità alla vicenda processuale delle affermazioni ad esso rivolte, così da comportare una effettiva lesione del suo diritto all’immagine.
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