Mobbing sul lavoro, sanzione equiparabile allo stalking

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Mobbing sul lavoro, sanzione equiparabile allo stalking

Il datore di lavoro che assume un atteggiamento mobbizzante nei confronti di un proprio dipendente è punito con la medesima sanzione prevista per lo stalking (art. 612-bis cod. pen.). Si ricorda, al riguardo, che lo stalking si realizza allorquando un soggetto minaccia o molesta un’altra persona in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31273 del 9 novembre 2020.

Mobbing sul lavoro, quando si realizza?

Il mobbing sul lavoro è un insieme di comportamenti violenti perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.

In altri termini, la pratica del mobbing, consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica, con il fine di indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento.

La recente giurisprudenza (Cass. sent. n. 10992/2020) ha stabilito che, ai fini della configurabilità di una ipotesi di mobbing, non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di plurime condotte datoriali illegittime, ma è necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione.

Mobbing sul lavoro, la correlazione con lo stalking

Secondo gli ermellini, il mobbing non esclude – ma, anzi, conferma – la riconducibilità dei fatti vessatori alla norma incriminatrice di cui all’art. 612-bis cod. pen., ove ricorrano gli elementi costitutivi di siffatta fattispecie. Infatti, concludono i giudici di legittimità, nessuna obiezione sussiste, in astratto, alla riconduzione delle condotte di mobbing nel delitto di “atti persecutori”, laddove la “mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro”, elaborata dalla giurisprudenza civile come essenza del fenomeno, sia idonea a cagionare uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice.

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