Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo: procedura obbligatoria di conciliazione

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Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo: procedura obbligatoria di conciliazione

Lo sblocco dei licenziamenti previsto per alcuni settori economici ha comportato la ripresa delle procedure di conciliazione per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ex art. 7 L. n. 604/1966, così come modificato dalla legge Fornero (legge n. 92/2012), sospese per tutta la durata del blocco.

L’Ispettorato nazionale del lavoro, con la nota n. 5186/2021, è intervenuto fornendo chiarimenti e indicazioni operative alle aziende non più soggette al divieto di licenziamento, tenute ad esperire il tentativo di conciliazione obbligatorio per i licenziamenti individuali per motivi economici di cui all’art. 7 della legge n. 604/1966.

Divieto di licenziamento nella disciplina emergenziale

Il legislatore emergenziale, a tutela dell’occupazione minacciata dagli effetti della crisi economica causata della pandemia da Covid-19, a partire dal 17 marzo 2020 ha precluso ai datori di lavoro privati la possibilità di avviare procedure di licenziamento collettivo, sospendendo altresì le procedure pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020. Ai medesimi datori di lavoro privati, indipendentemente dal numero dei dipendenti, è stata inoltre preclusa la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604. Collateralmente, sono state sospese le procedure in corso di cui all’articolo 7 della stessa legge.

Le preclusioni e le sospensioni soggiacciono a specifiche eccezioni (cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, fallimento, stipula di accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, con percezione dell’l’indennità di disoccupazione NASpI).

I decreti emergenziali (dal Cura Italia in poi) che si sono susseguiti hanno via via prolungato il divieto di licenziamento (e la correlata sospensiva dei procedimenti in corso).

Oggi, a seguito di una articolata interlocuzione tra le parti sociali tradottasi in un Avviso comune, sottoscritto il 29 giugno 2021 dalle Associazioni datoriali (Confindustria, Confapi e Alleanza cooperative) e le OO.SS (CGIL, CISL e UIL), con il quale si raccomanda l’utilizzo degli ammortizzatori sociali previsti dalla normativa in alternativa proprio alla risoluzione dei rapporti di lavoro, si è provveduto a sbloccare selettivamente i licenziamenti.

Il quadro normativo vigente è caratterizzato da una stretta interconnessione del divieto di licenziamento alla domanda di integrazione salariale, al periodo di trattamento autorizzato e/o a quello effettivamente fruito.

Divieto di licenziamento: cosa è cambiato dal 1° luglio 2021

E’ il caso di ricordare che, con l’obiettivo di definire l’ambito di operatività dello sblocco dei licenziamenti e della ripresa delle procedure di conciliazione obbligatoria, dal 1° luglio 2021 il divieto di licenziamento è venuto meno solo per le aziende che possono fruire della CIGO ex art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015 (riferibile sostanzialmente ad industria e manifatturiero). A prevederlo è l’art. 8, comma 1, del decreto Sostegni (D.L. n. 41/2021 convertito con modificazioni dalla L. 21 maggio 2021, n. 69).

Con i successivi interventi normativi (decreto Sostegni bis, D.L. n. 73/2021 convertito con modificazioni dalla L. 23 luglio 2021, n. 106, che ha recepito, abrogandolo, il D.L. n. 99/2021) il divieto di licenziamento è stato esteso:

- fino al 31 ottobre 2021, per le aziende del tessile identificate secondo la classificazione Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15 (confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e in pelliccia e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili), in virtù della possibilità di accedere ad ulteriore periodo di cassa integrazione di 17 settimane dal 1° luglio al 31 dicembre. Il divieto opera a prescindere dalla effettiva fruizione degli strumenti di integrazione salariale;

- nel periodo intercorrente fra il 1° luglio ed il 31 dicembre 2021, per tutta la durata del trattamento di integrazione salariale autorizzato collocato entro il 31 dicembre 2021, per le altre aziende rientranti nell’ambito di applicazione della CIGO, che abbiano presentato domanda di fruizione degli strumenti di integrazione salariale ai sensi degli articoli 40, comma 3 e 40 bis, comma 1 (artt. 40, commi 4 e 5, e 40 bis, commi 2 e 3, del D.L. n. 73/2021).

Aziende che possono fruire della CIGO (art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015)

· Imprese manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas;

· Cooperative di produzione e lavoro che svolgano attività lavorative similari a quelle degli operai delle imprese industriali, fatta eccezione delle cooperative ex dpr n. 602/1970, per le quali l’art. 1 del dpr non prevede la contribuzione per la Cig;

· Imprese dell’industri boschiva, forestale e del tabacco;

· Cooperative agricole, zootecniche e dei loro consorzi che esercitano attività di trasformazione, manipolazione e commercializzazione di prodotti agricoli propri per i soli dipendenti con contratto a tempo indeterminato;

· Imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film di sviluppo e stampa di pellicole cinematografiche;

· Imprese industriali per la frangitura delle olive per conto terzi;

· Imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato;

· Imprese addette agli impianti telefonici ed elettrici;

· Imprese addette all’armamento ferroviario;

· Imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica;

· Imprese industriali ed artigiane dell’edilizia e affini;

· Imprese industriali esercenti l’attività di escavazione e/o escavazione di materiale lapideo;

· Imprese artigiane che svolgono attività di escavazione e di lavorazione di materiali lapidei, con esclusione di quelle che svolgono talee attività di lavorazione in laboratori con strutture e organizzazione distinte dalle attività di escavazione.

Al riguardo è doveroso far notare che l’INL ha ritenuto opportuno integrare il nuovo modello di istanza - Modulo INL 20/bis con tutte le informazioni utili a verificare anche la condizione dell’impresa con riguardo al divieto di licenziamento e all’utilizzo della cassa integrazione. L’impresa dovrà difatti dichiarare:

  • “di non avere presentato o di non essere in procinto di presentare domanda di cassa di integrazione ai sensi degli articoli 40 / 40bis del D.L. n. 73/2021”;
  • “di avere esaurito le settimane integrabili di cui alla domanda di cassa integrazione presentata ai sensi degli articoli 40, comma 3, / 40bis, comma 1, del D.L. n. 73/2021 in data […]”.

Eventuali incongruenze delle dichiarazioni con le risultanze delle banche dati comporteranno la redazione di un verbale di archiviazione della procedura che darà atto della impossibilità di dare seguito al tentativo di conciliazione attesa la sussistenza delle condizioni di estensione del periodo di divieto previste ex lege.

Inoltre, l’eventuale presentazione di domanda di cassa integrazione ai sensi degli articoli 40, comma 3, e 40 bis, comma 1, successivamente alla definizione delle procedure ex art. 7 della legge 604/1966, sarà valutata ai fini della programmazione delle attività di vigilanza connesse alla fruizione degli ammortizzatori sociali.

Licenziamenti individuali per gmo e procedura obbligatoria di conciliazione

Datori di lavoro interessati

Non tutti i datori di lavoro “riabilitati”, dallo scorso 1° luglio, a comminare nuovi licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, sono tenuti ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione.

L’articolo 7 della legge n. 604/1966, come modificato dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92/2012, prevede infatti l’obbligo solo in capo al “datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300”.

Sul punto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota n. 5186/2021 richiama la circolare del Ministero del lavoro del 16 gennaio 2013, n. 3, che fornisce utili chiarimenti in merito.

Sono tenuti ad attivare la procedura obbligatoria di conciliazione i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo abbiano alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli. Tale disposizione si applica anche nei confronti del datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nello stesso ambito comunale occupi più di 15 lavoratori, pur se ciascuna unità produttiva non raggiunga tali limiti (anche per l’imprenditore agricolo dimensionato oltre le 5 unità vale lo stesso principio) e, in ogni caso, al datore di lavoro che occupa più 60 dipendenti su scala nazionale.

Organico aziendale

Il calcolo della base numerica (secondo gli indirizzi consolidati presso la Corte di Cassazione) deve essere effettuato non già nel momento in cui avviene il licenziamento, ma avendo quale parametro di riferimento la “normale occupazione” nel periodo antecedente (ultimi 6 mesi), senza tener conto di temporanee contrazioni di personale.

Nelle aziende dove l’occupazione è fluttuante la giurisprudenza oscilla tra un concetto di media (v. Cass. n. 2546/2004) ed uno di normalità della forza lavoro riferita all’organico necessario in quello specifico momento dell’anno (Cass n. 2241/1987 e Cass. n. 2371/1986).

Vanno calcolati nell’organico aziendale i lavoratori:

  • delle società cooperative di produzione e lavoro che hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinato secondo la previsione contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 142/2001;
  • a domicilio;
  • sportivi professionisti, che in virtù dell’art. 4, comma 9 della legge n. 91/1981 rientrano nel computo dimensionale dell’azienda.

Sono invece esclusi dal computo:

  • gli assunti con rapporto di apprendistato (qualunque tipologia);
  • gli assunti, già impiegati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità, secondo la previsione contenuta nell’art. 7, comma 7, del D.Lgs. n. 81/2000;
  • i lavoratori somministrati che non rientrano nell’organico dell’utilizzatore.

Tra le tipologie contrattuali escluse, la circolare del Ministero del lavoro richiama anche gli assunti con contratto di inserimento (tipologia contrattuale ora abrogata) e con contratto di reinserimento ex art. 20 della legge n. 223/1991.

Non si computano poi il coniuge ed i parenti entro il secondo grado sia in linea diretta che collaterale (commi 8 e 9 dell’art. 18, come modificato dal comma 42 dell’art. 1 della legge n. 92/2012).

Sono, infine, considerati in modo parziale:

  • i lavoratori a tempo parziale indeterminato, calcolati “pro – quota” in relazione all’orario pieno contrattuale;
  • i lavoratori intermittenti, calcolati nell’organico aziendale “ai fini dell’applicazione di norme di legge, in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre” (art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015).

Lavoratori interessati

La procedura è obbligatoria esclusivamente per i lavoratori in tutela reale (assunti, anche a seguito di trasformazione del rapporto, a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23/2015 che ha previsto per i lavoratori a tutele crescenti soltanto l’offerta conciliativa facoltativa).

Sono, inoltre, esclusi dalla procedura obbligatoria i licenziamenti di:

  • dirigenti (non è applicabile l’art. 3 della legge n. 604/1966)
  • lavoratori assunti con contratto di apprendistato prima del 7 marzo 2015 con consolidamento del rapporto di lavoro al termine del periodo formativo avvenuto dal 7 marzo 2015;
  • lavoratori licenziati per superamento del periodo di comporto ex art. 2110 c.c;
  • lavoratori licenziati al termine di un appalto qualora si preveda il loro reimpiego presso il nuovo appaltatore;
  • lavoratori in tutela obbligatoria prima del 7 marzo 2015 nel caso in cui l’azienda, per effetto di assunzioni a tempo indeterminato, abbia successivamente integrato il requisito occupazionale di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2015).

Nozione di licenziamento per giustificato motivo

Ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966 n. 604, il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Anche con riferimento alla nozione di giustificato motivo oggettivo che fa scattare l’obbligo del tentativo di conciliazione, tornano utili le indicazioni del Ministero del lavoro (circolare del Ministero del lavoro del 16 gennaio 2013, n. 3) che, ribadendo la centralità della valutazione del datore di lavoro, identifica (ma solo a scopo esemplificativo) alcune ipotesi specifiche riconducibili al giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Così la ristrutturazione di reparti, la soppressione del posto di lavoro, la terziarizzazione e l’esternalizzazione delle attività. Le prime due ipotesi devono essere ricondotte all’esigenza di dover “cancellare” quel posto di lavoro o ridurre quel reparto nel quale opera il dipendente, con l’impossibilità di adibirlo ad altre mansioni compatibili.

Così anche tutte le altre ipotesi di licenziamento (non esaustive naturalmente) enucleate dalla giurisprudenza e nelle quali rientrano l’inidoneità fisica, l’impossibilità di “repechage” anche all’interno del gruppo d’imprese, il licenziamento di un lavoratore a tempo indeterminato in edilizia anche per chiusura del cantiere, i provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto come, ad esempio, il ritiro della patente di guida ad un autista o del porto d’armi ad una guardia particolare giurata, le misure detentive.

Non rientra nell’alveo dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il licenziamento per superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art. 2110 c.c.

Da valutare anche l’ipotesi dei recessi plurimi (più licenziamenti individuali nell’arco temporale di 120 giorni anche per i medesimi motivi senza raggiungere la soglia di 5) per esigenze oggettive dell’azienda. Tali recessi sono configurabili come licenziamenti individuali e non come licenziamenti collettivi ex art. 4 della legge n. 223/1991 e quindi soggetti anch’essi alla procedura obbligatoria di conciliazione. Al riguardo gli Ispettorati territoriali del Lavoro dovranno verificare se, in un arco temporale di 120 giorni, l’impresa abbia attivato più di quattro tentativi di conciliazione per i medesimi motivi. In al caso dovrà ritenere non ammissibile la procedura e invitare il datore di lavoro ad attivare la riduzione collettiva di personale.

Fasi della procedura obbligatoria di conciliazione (in presenza)

1. Comunicazione dell’intenzione di licenziare

I datori di lavoro (con i requisiti dimensionali summenzionati e che si trovano nelle condizioni prima illustrate) che vogliono procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, devono inviare una comunicazione, utilizzando per il 2021 il nuovo modello INL 20 bis di cui alla nota n. 5186/2021.

Al fine di consentire l’acquisizione di tutti i dati utili all’istruttoria, il nuovo modello deve riportare anche informazioni riguardanti il settore di attività dell’impresa istante e l’eventuale presentazione di domande di integrazione salariale da parte della stessa.

Il modulo, corredato dell’informativa sulla privacy, dovrà essere compilato in tutte le sue parti (in difetto l’istanza non potrà essere utilmente trattata), in modalità digitale, cliccando sugli appositi spazi e successivamente inviato all’indirizzo PEC di riferimento o stampato e inviato per posta ordinaria o consegnato all’ufficio competente o consegnato brevi manu.

Nella comunicazione, da inviare all’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio in base il luogo di svolgimento dell’attività del lavoratore e, per conoscenza, al lavoratore direttamente interessato, il datore di lavoro dichiara l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indica i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.

Per le procedure di conciliazione in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020) sospese e riattivate a seguito dello sblocco dei licenziamenti, i datori di lavoro interessati dovranno reiterare l’istanza utilizzando il medesimo modello.

  1. Convocazione delle parti

L’Ispettorato territoriale del Lavoro che ha ricevuto la comunicazione del datore di lavoro è tenuto a convocare le parti (datore di lavoro e lavoratore) avanti la commissione (o sottocommissione) provinciale di conciliazione, trasmettendo l’invito a comparire entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza con lettera raccomandata o preferibilmente tramite PEC.

N.B. L’Ispettorato territoriale del Lavoro può proporre, in alternativa, un incontro “da remoto” secondo la nuova procedura individuata dal decreto Semplificazioni di cui si dirà più avanti (articolo 12 bis, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120).

Le parti devono presentarsi dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione personalmente o per delega e/o con l’assistenza di avvocati e consulenti del lavoro iscritti al relativo albo o da rappresentanti dell’associazione datoriale o sindacale cui aderiscano o abbiano conferito mandato all’ora o nel giorno indicati nella lettera di convocazione.

L’assenza immotivata di una delle parti produce la redazione di un verbale di assenza. L’assenza, non giustificata, del lavoratore abilita il datore di lavoro ad attuare il recesso.

Si fa presente che il Ministero del lavoro raccomanda la presenza effettiva di tutte le parti, in particolar modo del lavoratore.

  1. Sospensione

La procedura di conciliazione deve concludersi entro 20 giorni complessivi dal momento in cui l’ITL trasmette la convocazione. Nei 20 giorni vanno computati anche quelli necessari alla ricezione della lettera raccomandata (o della PEC).

Il termine di 20 giorni è superabile qualora le parti, di comune accordo, lo chiedano per raggiungere l’accordo o in presenza di un legittimo e documentato impedimento del lavoratore (anche autocertificabile) per un massimo di 15 giorni (art. 7, comma 9, legge n. 604/1966).

L’impedimento può consistere in uno stato di malattia o in un motivo diverso concernente la sfera familiare purchè trovi giustificazione in una tutela prevista per legge.

Spetta alla commissione accordare la sospensione per il tempo richiesto.

  1. Esito della procedura

Compito della Commissione è facilitare il raggiungimento di un accordo, che può non raggiungersi. Vediamo insieme i vari esiti possibili.

La procedura può concludersi per:

  • la mancata comparizione delle parti o l’abbandono da parte di una di esse e conseguente verbale di assenza. In tal caso il datore di lavoro, trascorsi 7 giorni dalla ricezione della propria richiesta di incontro da parte dell’ITL, può procedere con atto di recesso unilaterale (la medesima possibilità è ammessa anche nell’ipotesi in cui non sia stata effettuata la convocazione);
  • il mancato accordo. Se il tentativo di conciliazione fallisce, la commissione provinciale di conciliazione redige un verbale di mancato accordo specifico e circostanziato (il comportamento complessivo delle parti sarà valutato dal giudice anche per la determinazione dell’indennità risarcitoria). Il licenziamento adottato al termine della procedura conciliativa ha effetto “dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato”, che coincide con quello della ricezione, da parte dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, della comunicazione del datore relativa al preavviso di licenziamento, fatto salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso o alla indennità sostitutiva.

In alternativa, il tentativo di conciliazione può concludersi con un accordo conciliativo che può anche prevedere soluzioni alternative alla risoluzione del rapporto di lavoro che, una volta verbalizzate, diventano inoppugnabili.

La risoluzione consensuale del rapporto è cristallizzata nel verbale che riporta i contenuti dell’accordo raggiunto tra le parti. La conciliazione può ricomprendere anche aspetti di natura economica del rapporto di lavoro (come le differenze retributive, le ferie non godute o il trattamento di fine rapporto), che vanno riportati separatamente nel verbale e sulla definitività e conseguente inoppugnabilità ex art. 410 cpc dei quali è richiesta la piena consapevolezza e conoscenza da parte del lavoratore.

Il lavoratore può richiedere l’indennità di disoccupazione (NASpI) a fronte della quale il datore di lavoro è tenuto a pagare il c.d. “ticket licenziamento”.

La risoluzione consensuale avvenuta dinanzi alla commissione di conciliazione non necessita di ulteriori passaggi.

Procedura da remoto

Una alternativa al tentativo obbligatorio di conciliazione tradizionale (anche una volta cessata l’emergenza) è rappresentata dall’attivazione della procedura da remoto. Tale possibilità è stata prevista dal comma 2 dell’art. 12-bis della legge n. 126/2020, dal decreto direttoriale n. 56 del 22 settembre 2020 e dalla circolare INL n. 4 del 25 settembre 2020.

Condizioni necessarie affinché la procedura svolta “da remoto” possa essere riconosciuta la medesima efficacia di quelle tenute “in presenza” sono:

− l’identificazione degli interessati o dei soggetti da essi delegati;

− l’acquisizione della loro volontà espressa.

L’ITL invia l’invito corredato dalla informativa privacy, mediante e-mail e secondo le disponibilità eventualmente concordate in precedenza.

Una volta ricevuta risposta nel termine indicato, l’ITL invia alla/e parte/i il link di collegamento a Microsoft Teams al quale accedere, preferibilmente mediante Google Chrome, alla data ed all’orario fissati.

Il giorno dell’incontro il funzionario provvede all’identificazione delle parti, rammentando il divieto di attivazione della funzione di registrazione nella piattaforma Microsoft Teams e il divieto di scambio di file nonché dell'attivazione della messaggistica per il tramite di detta piattaforma, dovendosi a tal fine utilizzare esclusivamente le e-mail.

Il funzionario provvede alla verbalizzazione. Per disposizione di legge, il verbale viene sottoscritto dal solo funzionario incaricato e trasmesso alla e-mail o p.e.c. indicate.

N.B. Il datore di lavoro può chiedere che la riunione abbia luogo “in presenza”, esplicitandone le motivazioni. In tal caso, qualora l’Ufficio ritenga fondate le motivazioni esposte, non si darà corso alla procedura “da remoto” e si provvederà a riprogrammare l’audizione secondo la modalità richiesta dalla parte, tenuto sempre conto dell’esigenza di regolare gli accessi all’Ufficio per evitarne l’affollamento.

Procedura normativa emergenziale - Come compilare il Modulo INL 20/bis

Modulo INL 20/bis (da compilare online e inviare all’indirizzo PEC di riferimento o stampato e inviato per posta ordinaria o consegnato all’ufficio competente o consegnato brevi manu)

Quando va utilizzato: per esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

A chi va indirizzato: all'Ispettorato Territoriale del Lavoro di (Via, CAP, Città, Prov, Email, PEC) competente per territorio in base il luogo di svolgimento dell’attività del lavoratore e, per conoscenza, al lavoratore interessato al provvedimento

Dati identificativi del datore di lavoro: nome e cognome, luogo e data di nascita, residenza, recapito telefonico, e-mail, codice fiscale del titolare/legale rappresentante della Ditta/Società datrice di lavoro. Comune/provincia/CAP ove ha sede Ditta/Società datrice di lavoro, Codice fiscale e partita IVA)

Settore aziendale e numero dei dipendenti (Agricoltura, Industria - codice ATECO2007, Commercio, Artigianato, Altro – settore e codice ATECO2007)

Numero dipendenti (fino a 5, da 6 a 15, oltre 15)

Dati identificativi del lavoratore: il datore di lavoro chiede che venga esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione nei confronti del lavoratore identificato con nome e cognome, luogo e data di nascita, domiciliazione, recapito telefonico, e-mail, codice fiscale, durata del rapporto di lavoro (dal/al), qualifica, mansioni, sede di lavoro, CCNL applicato.

Sospensione (campo eventuale): data di presentazione dell'istanza

Motivi del licenziamento: motivazioni alla base del provvedimento di recesso. È sempre utile spiegare, nel campo in esame, perché non è possibile procedere al repêchage del lavoratore, indicando sommariamente le valutazioni operate

Autodichiarazione: il richiedente deve dichiarare di non avere presentato o di non essere in procinto di presentare domanda di cassa di integrazione ai sensi degli articoli 40 / 40 bis del D.L. n. 73/2021 o di avere esaurito le settimane integrabili di cui alla domanda di cassa integrazione presentata ai sensi degli articoli 40, comma 3, / 40 bis, comma 1, del D.L. n. 73/2021, indicando la data, nonché la denominazione dell’Associazione datoriale a cui aderisce

Ricollocazione del lavoratore: indicare eventuali misure adottate

Documenti allegati: comunicare i documenti da allegare al modello

Luogo dove far pervenire le comunicazioni: indirizzo, telefono, fax, e-mail, luogo, data e firma del legale rappresentante

Informativa sulla privacy debitamente firmata dal legale rappresentante

N.B. Per accelerare i tempi è opportuno che il datore di lavoro dichiari la propria disponibilità ad attivare la procedura “da remoto” (comma 2 dell’art. 12-bis della legge n. 126/2020).

 

Quadro Normativo

Ispettorato nazionale del lavoro, nota n. 5186 del 16 luglio 2021

 

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