L’acconto versato dal datore senza imputazione di pagamento: quali conseguenze?
Pubblicato il 26 settembre 2014
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L’impresa Gamma licenzia i dipendenti Tizio e Caio senza corrispondere a costoro le ultime mensilità di retribuzione e il TFR. Tizio e Caio si rivolgono alla DTL competente. Successivamente all’esposto, Gamma versa ai propri dipendenti delle somme a titolo di acconto senza tuttavia imputare il pagamento a nessuna mensilità in particolare o a specifiche poste retributive. Nel corso della verifica il personale ispettivo riscontra che le retribuzioni di cui è stato omesso il pagamento risultano composte anche da emolumenti previdenziali come gli ANF e le indennità di malattia e di maternità. Quali criteri sorreggono le scelte degli ispettori?
Cenni sulle regole dell’adempimento retributivo
Va premesso che l’imputazione del pagamento è l’atto con il quale il debitore, che abbia più debiti dello stesso genere nei confronti dell’unico creditore, estingue i rapporti obbligatori in essere. L’imputazione del pagamento spetta, in via principale, al debitore che, nel momento in cui paga, può dichiarare quale debito intenda estinguere. Il pagamento deve essere satisfattivo, giacché è facoltà del creditore rifiutare un adempimento parziale, salvo che il rifiuto stesso sia contrario a buona fede. Invero il debitore non ha diritto alla rateizzazione, se non espressamente pattuita, e il creditore ben può rifiutare pagamenti parziali o effettuati con modalità diverse dalla consegna di denaro. Nell’ambito lavoristico tale principio comporta il diritto del lavoratore di ricevere integralmente e in un’unica soluzione la retribuzione pattuita: l’eventuale dilazione di pagamento costituisce per il datore di lavoro una concessione, che secondo il recente arresto della S.C. configura una vera e propria rinuncia e come tale è soggetta al regime di cui agli artt. 1965 c.c. e di conseguenza anche alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c..
Adempimento parziale: imputazione di pagamento
Nell’ipotesi comunque in cui il lavoratore accetti con buona pace il pagamento parziale, e questo non sia integralmente satisfattivo del debito, si pone il problema di comprendere come debba essere imputata la somma rispetto all’obbligazione del rapporto obbligatorio. In altre parole, se è vero in generale che l’imputazione di pagamento costituisce una facoltà del debitore e che invece nel rapporto di lavoro subordinato tale posizione soggettiva assume la connotazione dell’obbligo (essendo la parte datoriale tenuta alla consegna delle buste-paga), è altrettanto vero che non sempre tale obbligo viene adempiuto; nelle ipotesi in cui tale evenienza si verifica permane pur sempre la necessità, a fronte di adempimenti parziali, di stabilire il criterio di ripartizione delle somme versate a titolo di acconto dalla parte datoriale. Tale esigenza è particolarmente sentita proprio nel settore lavoristico in cui la retribuzione è il più delle volte composta da emolumenti di natura previdenziale, che, se non puntualmente corrisposti, possono determinare conseguenze di rilevanza penale.
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Imputazione del creditore
Vale osservare anzitutto che se la parte datoriale omette di ascrivere il pagamento parziale a una specifica posta o a una specifica mensilità retributiva il lavoratore può sopperire a tale mancanza procedendo egli stesso all’imputazione del pagamento ricevuto nell’atto di quietanza. Tale facoltà è comunque esercitabile sempre che il datore di lavoro rifiuti la quietanza medesima.
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L’art. 1193 c.c.
Ove invece l’imputazione di pagamento sia del tutto assente e la somma versata dal debitore non estingua l’obbligazione pecuniaria soccorrono i criteri di cui all’art. 1193 comma II c.c., a mente del quale il pagamento “[…] deve essere imputato al debito scaduto, se vi sono più debiti scaduti a quello meno garantito, tra quelli più garantiti a quello più oneroso, tra più debiti onerosi a quello più antico”.
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Scadenza del debito
Procedendo con ordine, la prima verifica si appunta sui tempi di scadenza del debito. Se i termini di adempimento non risultano scaduti, l’acconto versato dal datore di lavoro andrà imputato al debito in essere. Viceversa se tali tempi siano spirati (il che si verifica quando ad esempio il datore di lavoro sia inadempiente a più mensilità) occorre concentrare l’attenzione su quale sia il debito meno garantito.
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Garanzia del credito
Va osservato che il concetto di garanzia non è circoscritto alla cause legittime di prelazione (privilegio, pegno e ipoteca), ma a giudizio degli scriventi si riferisce a ogni istituto di natura reale o personale volto comunque ad ampliare le possibilità di soddisfazione del credito vantato nel qual caso dal lavoratore.
Ciò precisato, si rileva che l’art. 2751 bis n. 1 c.c. munisce di “privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile”. Non è dubitabile che in forza di tale disposizione il privilegio assista la retribuzione, così come il TFR, essendo quest’ultimo un emolumento dovuto all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. Il TFR risulta altresì ulteriormente garantito dalla L. 29 maggio 1982 n. 297 istitutiva del Fondo di Garanzia gestito dall’INPS. Infatti nel caso in cui il datore di lavoro sia insolvente circa il pagamento del TFR, e l’insolvenza sia stata accertata all’esito di procedura esecutiva, allora tale trattamento viene erogato dal predetto Fondo di garanzia.
Mutatis mutandis il Fondo garantisce anche i crediti retributivi inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro. Tuttavia in tal caso occorre in linea di massima che il datore di lavoro sia sottoposto a procedura concorsuale e che i crediti delle ultime tre mensilità rientrino nei dodici mesi che precedono la data della prima domanda diretta all’apertura della procedura concorsuale. In tal modo si può affermare che il TFR e le ultime tre mensilità sono assistite da una doppia garanzia: quella di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c. e quella prevista dal Fondo Garanzia. Per quanto riguarda gli ANF la questione non è di univoca lettura.
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Garanzia delle prestazioni previdenziali
Secondo una prima prospettazione gli ANF, così come gli altri trattamenti erogati dall’INPS, non hanno natura retributiva, ma previdenziale e pertanto non risulterebbero garantiti da privilegio ex art. 2751 bis n. 1 c.c.. Semmai si potrebbe arguire che i trattamenti previdenziali godano comunque di una garanzia impropria nel senso che, ove non vengano anticipati dal datore di lavoro e la circostanza venga debitamente accertata, il lavoratore può chiedere all’INPS di provvedere al pagamento diretto della prestazione. In tale evenienza il datore di lavoro, se non vuol incorrere in conseguenze di natura penale, non deve conguagliare con i contributi previdenziali le somme pagate direttamente dall’INPS. Tale operazione, se realizzata, determina un credito dell’Istituto nei confronti del datore di lavoro, che viene garantito, ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 2754 c.c. e 2788 n. 8 c.c., con privilegio generale collocato in ottavo grado. In sostanza si può affermare che secondo tale prospettiva le prestazioni previdenziali costituiscono crediti meno garantiti rispetto alle retribuzioni, perché non privilegiati, anche se in certa misura possono essere conseguiti dal lavoratore in forma più spedita mediante il pagamento diretto da parte dell’INPS.
Secondo altra prospettiva invece i trattamenti previdenziali avrebbero comunque natura di credito privilegiato ai sensi dell’art. 2751 bis n.1 c.c., sul presupposto che il privilegio viene accordato dalla legge in considerazione della causa del credito; considerato che l’art. 2751 bis n. 1 c.c. conferisce tale garanzia agli emolumenti che “sotto qualsiasi forma” trovano la propria causa nel contratto di lavoro, allora si dedurrebbe che anche gli ANF, quantunque gestiti all’INPS, costituiscono misura garantita da privilegio generale, perché anche essi risultano eziologicamente riconducibili al contratto di lavoro. In sostanza, secondo tale impostazione i trattamenti previdenziali sarebbero assistiti da una garanzia fondamentalmente assimilabile a quella relativa alle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS.
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Onerosità del credito, storicità dello stesso e proporzionalità dell’imputazione
In ogni caso se gli indici di garanzia del credito risultino sostanzialmente equipollenti, l’art. 1193 c.c. pone come criteri ulteriori la maggiore onerosità del credito e, susseguentemente, il suo dato cronologico, nel senso che a fronte di debiti ugualmente onerosi il pagamento deve andare a estinguere il debito di data più antica. Se neppure tali parametri risultino satisfattivi, l’imputazione deve essere fatta proporzionalmente ai vari debiti. Alla luce di tali premesse si può passare a esaminare il caso concreto.
Il caso concreto
L’impresa Gamma ha licenziato i dipendenti Tizio e Caio senza corrispondere a costoro le ultime mensilità di retribuzione e il TFR. Tizio e Caio si sono rivolti alla DTL competente. Successivamente all’esposto, Gamma ha versato ai propri dipendenti delle somme a titolo di acconto senza tuttavia imputare il pagamento a nessuna mensilità in particolare o a specifiche poste retributive. Nel corso della verifica il personale ispettivo ha riscontrato che le retribuzioni di cui è stato omesso il pagamento risultano composte anche da emolumenti previdenziali come gli ANF e le indennità di malattia e di maternità. Si tratta di comprendere se gli acconti corrisposti da Gamma possono o meno essere imputati alle somme dovute a titolo di ANF, al fine di escludere altresì la commissione di eventuali reati. Vale osservare in proposito che se Gamma avesse conguagliato con i contributi previdenziali gli importi relativi agli ANF, il reato sarebbe comunque consumato a prescindere dall’eventuale modalità di imputazione di pagamento degli acconti versati da Gamma. Il reato sarebbe di natura istantanea, perché rinviene il suo momento consumativo nella prima condotta, coincidente con l’atto in cui l’agente manifesta il dominio sulla cosa, con volontà di tenerla come propria. E l’atto di dominio si concretizza nell’operazione di conguaglio dei contributi previdenziali, preceduta dalla mancata corresponsione delle somme retributive comprensive degli ANF. Diversamente, l’applicazione delle regole di imputazione porterebbe ad ascrivere gli acconti versati agli ANF, perché, premessa l’avvenuta scadenza del debito, tali emolumenti previdenziali costituiscono un credito meno garantito rispetto alle retribuzioni, che invece godono di privilegio ex art. 2751 bis. n. 1 c.c.. Ciò a patto che non si volesse aderire all’interpretazione estensiva, che considera gli ANF credito garantito al pari delle retribuzioni. In tal caso occorrerebbe scorrere i criteri di cui all’art. 1193 c.c. e valutare dapprima l’onerosità del debito e successivamente la storicità dello stesso, per concludere poi con l’applicazione del parametro dell’imputazione proporzionale.
NOTE
i Cfr. art. 1183 c.c.
ii Cfr. 1181 c.c.
iii Cfr. 1197 c.c.
iv Cass. civ. Sez. lavoro, 03/09/2013, n. 20160.
v Il riferimento è alla mancata corresponsione degli ANF o dell’indennità di malattia i cui importi vengano comunque portati a conguaglio con le somme contributive mediante invio telematico delle denunce mensili all’INPS.
vi Cfr. circolare INPS n. 74 del 2008.
vii Si tratta questa di una facoltà esercitabile dal lavoratore per tutte le prestazioni previdenziali che, come l’indennità di malattia o gli assegni familiari, vengano erogate dall’Istituto previdenziale mediante la tecnica dell’anticipazione e del successivo conguaglio; cfr. Messaggio INPS n. 12790 del 2.5.2006, cfr. messaggio INPS 028997del 18.11.2010).
viii Cass. pen. Sez. II, 15/01/2013, n. 18762 per cui tale condotta realizza gli estremi dell’appropriazione indebita; mentre per cfr. Cass. pen. Sez. II Sent., 02/02/2010, n. 8537 tale condotta configura il reato di truffa in danno all’INPS.
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