La tutela della sicurezza e salute durante la gravidanza ed il puerperio

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Il D.Lgs. n. 151/2001 tutela la sicurezza e salute delle donne dall’inizio della gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto, a patto che queste abbiano avvisato il datore di lavoro del proprio stato. Il datore di lavoro, dal canto suo, è obbligato ad effettuare una valutazione dei rischi specifici per la maternità, tenendo presente non solo i rischi elencati negli allegati A e B al Testo Unico sulla maternità e paternità, ma anche e soprattutto i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C al medesimo Testo, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione Europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.

Se dal DVR emergono rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure necessarie affinché l'esposizione al rischio sia evitata, modificando temporaneamente le condizioni di lavoro delle donne o il loro orario di lavoro.


In questo caso è possibile perfino demansionare la lavoratrice anche se la stessa mantiene il diritto alla retribuzione spettante per le mansioni abitualmente svolte nonché la qualifica originale.


I rischi


I principali fattori di rischio che vanno analizzati nel DVR per la salute della donna in gravidanza e del bambino sono i seguenti:


- attività in postura eretta, in postura seduta, e posture incongrue;

- lavoro in postazioni sopraelevate;

- movimentazione manuale dei carichi;

- colpi, vibrazioni o movimenti;

- rumore;

- radiazioni ionizzanti e non ionizzanti;

- sollecitazioni termiche;

- lavori in atmosfera iperbarica come ambienti pressurizzati ed immersioni subacquee;

- spostamenti all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro e pendolarismo;

- agenti biologici;

- agenti chimici piombo e derivati;

- rischio di aggressioni e reazioni violente.


L’interdizione anticipata


Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni non a rischio, il datore di lavoro può chiedere l’interdizione anticipata cosiddetta “per lavoro a rischio” – ex art. 17, comma 2, D.Lgs. n. 151/2001 - alla Direzione Territoriale del Lavoro dove è occupata la lavoratrice, anche se la richiesta può essere presentata direttamente dalla prestatrice di lavoro.


In entrambi i casi la domanda va fatta allegando un certificato medico che attesti lo stato di gravidanza e, nel caso di specie, spetta alla DTL constatare l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione.


Tuttavia, qualora dalla valutazione dei rischi emergano lavori pregiudizievoli per la lavoratrice in gravidanza, gli Uffici possono disporre immediatamente l’astensione dal lavoro purché il datore di lavoro, anche tramite la lavoratrice, produca una dichiarazione da cui risulti in modo chiaro, sulla base degli elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni, fermo restando la possibilità di effettuare successivi accertamenti.


Ai sensi dell’art. 18 del D.P.R. n. 1026/76 e come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con risposta agli interpelli prot. n. 97 del 1° giugno 2006 e prot. n. 6854 del 20 novembre 2006, l’efficacia dell’interdizione decorre della data del provvedimento stesso e non può essere retroattiva.


Quindi, il datore di lavoro, nel periodo intercorrente tra la richiesta alla DTL e l’emanazione del provvedimento interdittivo, può:


a.
concordare con la lavoratrice la fruizione delle ferie e dei permessi maturati;


b
. sospenderla cautelativamente, retribuendola in quanto la mancata prestazione non è addebitabile alla stessa;


c.
adibirla temporaneamente ad altre mansioni anche in sovrannumero.


In merito si segnala che è discriminante:


> non riassumere una lavoratrice che dovrebbe svolgere condizioni di lavoro pregiudizievoli
, allorquando un contratto collettivo di qualsiasi livello stabilisca diritti di precedenza o altro per cui alla stessa, in condizioni normali, spetterebbe di diritto essere assunta;


> non assumere una lavoratrice in gravidanza nel caso in cui esista una condizione di rischio nell’attività che la stessa dovrebbe svolgere
e che costituirebbe pregiudizio per la salute della stessa o del bambino.


Nel caso di specie, non si può prescindere dall’esistenza di un sottostante rapporto d’impiego al momento della richiesta di interdizione per cui non è possibile chiedere l’interdizione anticipata per condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli in tutti i casi in cui non vi sia in atto uno svolgimento di prestazione lavorativa e quindi in caso di lavoratrice disoccupata, sospesa, in Cassa Integrazione, ecc.


Analogamente, qualora la lavoratrice abbia in essere un rapporto di lavoro a tempo determinato, la DTL emette un provvedimento di interdizione che ha un termine che coincide con la scadenza del contratto di lavoro, salvo che la lavoratrice non entri, frattanto, nella c.d. astensione obbligatoria.


Durante l’interdizione anticipata, alla lavoratrice spetta lo stesso trattamento economico, normativo e previdenziale del congedo di maternità
.


La proroga del congedo di maternità


Le DTL, in presenza di particolari rischi che devono essere compiutamente analizzati nel DVR specifico, possono disporre l’interdizione dal lavoro fino a sette mesi di età del bambino, prorogando il congedo di maternità – e quindi anche il relativo trattamento economico, normativo e previdenziale - fino a sette mesi dopo il parto sempreché permangano:


- condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;


- l’impossibilità di spostare la lavoratrice ad altre mansioni.


La proroga del congedo di maternità è disposta, come per l’anticipazione, dietro presentazione di richiesta da parte del datore di lavoro o della lavoratrice, cui va allegata la documentazione attestante i rischi ed il certificato di nascita del bambino, oppure un’autocertificazione effettuata dalla madre.


In caso di parto prematuro
, come chiarito dall’INPS, con circolare n. 62/2010, i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima del parto, vanno aggiunti al termine del periodo di proroga, con conseguente riconoscimento di un periodo di congedo post partum complessivamente di maggiore durata.


Anche nel caso di specie la competenza ad emettere il provvedimento è della DTL sita nella provincia dove è occupata la lavoratrice.


Analogamente all’astensione pre-parto, la DTL deve constatare l’esistenza delle condizioni che giustifichino l’interdizione post-parto ma può disporre immediatamente l’astensione dal lavoro qualora il datore di lavoro, anche tramite la lavoratrice, produca una dichiarazione da cui risulti in modo chiaro, sulla base degli elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni, fermo restando la possibilità di effettuare accertamenti successivamente.


Infine, si evidenzia che anche la proroga del congedo di maternità è strettamente correlata allo svolgimento della prestazione di lavoro per cui non è possibile chiedere l’interdizione post-parto qualora non vi sia in atto uno svolgimento di prestazione lavorativa e, in caso di contratto a tempo determinato avente scadenza prima dei sette mesi dopo il parto, il provvedimento di interdizione avrà la stessa scadenza del contratto di lavoro.

Le sanzioni


Si ricorda, ad ogni modo, che adibire una lavoratrice durante la gravidanza (purché il datore di lavoro sia stato informato) e fino a sette mesi dopo il parto a mansioni che comportino condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino, comporta l’arresto fino sei mesi.

Norme e prassi

- D.P.R. n. 1026/76, art. 18

- D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, articoli da 6 a 18 ed allegati A, B e C

- Interpello Ministero Lavoro e Politiche Sociali n. 97 del 1° giugno 2006

- Interpello Ministero Lavoro e Politiche Sociali n. 6854 del 20 novembre 2006

- Circolare Inps n. 62/2010

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