La tutela della sicurezza e salute durante la gravidanza ed il puerperio
Pubblicato il 10 aprile 2014
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Il D.Lgs. n. 151/2001 tutela la sicurezza e salute delle donne dall’inizio della gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto, a patto che queste abbiano avvisato il datore di lavoro del proprio stato. Il datore di lavoro, dal canto suo, è obbligato ad effettuare una valutazione dei rischi specifici per la maternità, tenendo presente non solo i rischi elencati negli allegati A e B al Testo Unico sulla maternità e paternità, ma anche e soprattutto i rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all'allegato C al medesimo Testo, nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell'Unione Europea, individuando le misure di prevenzione e protezione da adottare.
Se dal DVR emergono rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure necessarie affinché l'esposizione al rischio sia evitata, modificando temporaneamente le condizioni di lavoro delle donne o il loro orario di lavoro.
In questo
caso è possibile perfino demansionare la
lavoratrice anche se la stessa mantiene il diritto alla
retribuzione
spettante per le mansioni abitualmente svolte nonché la qualifica
originale.
I
rischi
I principali
fattori di rischio che vanno analizzati nel DVR per la salute
della donna
in gravidanza e del bambino sono i seguenti:
- attività
in postura eretta, in postura seduta, e posture incongrue;
- lavoro in postazioni sopraelevate;
- movimentazione manuale dei carichi;
- colpi, vibrazioni o movimenti;
- rumore;
- radiazioni ionizzanti e non ionizzanti;
- sollecitazioni termiche;
- lavori in atmosfera iperbarica come ambienti pressurizzati ed immersioni subacquee;
- spostamenti all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro e pendolarismo;
- agenti biologici;
- agenti chimici piombo e derivati;
- rischio di aggressioni e reazioni violente.
L’interdizione
anticipata
Quando la
lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni non a rischio,
il datore di lavoro può chiedere
l’interdizione anticipata cosiddetta “per
lavoro a rischio” – ex art. 17, comma 2, D.Lgs. n. 151/2001 -
alla
Direzione Territoriale del Lavoro dove è occupata la lavoratrice, anche
se la
richiesta può essere presentata direttamente dalla prestatrice di
lavoro.
In
entrambi i casi la domanda va fatta allegando un certificato
medico che
attesti lo stato di gravidanza e, nel caso di specie, spetta alla DTL
constatare l’esistenza delle condizioni che danno luogo all’astensione.
Tuttavia,
qualora dalla valutazione dei rischi emergano lavori pregiudizievoli
per la
lavoratrice in gravidanza, gli Uffici possono disporre
immediatamente
l’astensione dal lavoro purché il datore di lavoro, anche
tramite la
lavoratrice, produca una dichiarazione da cui risulti in modo chiaro,
sulla
base degli elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale,
l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni, fermo restando la
possibilità di
effettuare successivi accertamenti.
Ai sensi
dell’art. 18 del D.P.R. n. 1026/76 e come chiarito dal Ministero del
Lavoro e
delle Politiche Sociali, con risposta agli interpelli prot. n. 97 del
1° giugno
2006 e prot. n. 6854 del 20 novembre 2006, l’efficacia
dell’interdizione decorre della data del provvedimento stesso e non può
essere
retroattiva.
Quindi, il
datore di lavoro, nel periodo intercorrente tra la richiesta alla DTL e
l’emanazione del provvedimento interdittivo, può:
a.
concordare con la
lavoratrice la fruizione delle ferie e dei permessi maturati;
b.
sospenderla
cautelativamente, retribuendola in quanto la mancata prestazione non è
addebitabile alla stessa;
c.
adibirla
temporaneamente ad altre mansioni anche in sovrannumero.
In merito
si segnala che è discriminante:
>
non riassumere una lavoratrice che dovrebbe svolgere
condizioni di lavoro pregiudizievoli,
allorquando un contratto collettivo di qualsiasi livello
stabilisca diritti di precedenza o altro per cui alla stessa, in
condizioni
normali, spetterebbe di diritto essere assunta;
>
non assumere una lavoratrice in gravidanza nel caso in cui
esista una condizione di rischio nell’attività che la stessa dovrebbe
svolgere
e che costituirebbe
pregiudizio per la salute della stessa o del bambino.
Nel
caso di specie, non si può prescindere dall’esistenza di un
sottostante
rapporto d’impiego al momento della richiesta di interdizione
per cui non è
possibile chiedere l’interdizione anticipata per condizioni di lavoro o
ambientali pregiudizievoli in tutti i casi in cui non vi sia in atto
uno
svolgimento di prestazione lavorativa e quindi in caso di lavoratrice
disoccupata, sospesa, in Cassa Integrazione, ecc.
Analogamente,
qualora la lavoratrice abbia in essere un rapporto di lavoro
a tempo
determinato, la DTL emette un provvedimento di interdizione
che ha un
termine che coincide con la scadenza del contratto di lavoro, salvo che
la
lavoratrice non entri, frattanto, nella c.d. astensione obbligatoria.
Durante
l’interdizione anticipata, alla lavoratrice spetta lo
stesso trattamento economico, normativo e previdenziale del congedo di
maternità.
La
proroga del congedo di maternità
Le DTL, in
presenza di particolari rischi che devono essere compiutamente
analizzati nel
DVR specifico, possono disporre l’interdizione dal lavoro
fino a sette mesi
di età del bambino, prorogando il congedo di maternità – e
quindi anche il
relativo trattamento economico, normativo e previdenziale - fino a
sette mesi
dopo il parto sempreché permangano:
- condizioni
di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute
della donna
e del bambino;
-
l’impossibilità
di spostare la lavoratrice ad altre mansioni.
La proroga
del congedo di maternità è disposta, come per l’anticipazione, dietro
presentazione di richiesta da parte del datore di lavoro o della
lavoratrice,
cui va allegata la documentazione attestante i rischi ed il certificato
di
nascita del bambino, oppure un’autocertificazione effettuata dalla
madre.
In caso di
parto prematuro, come chiarito
dall’INPS, con
circolare n. 62/2010, i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima
del
parto, vanno aggiunti al termine del periodo di proroga, con
conseguente
riconoscimento di un periodo di congedo post partum complessivamente di
maggiore durata.
Anche nel
caso di specie la competenza ad emettere il provvedimento è della DTL
sita
nella provincia dove è occupata la lavoratrice.
Analogamente
all’astensione pre-parto, la DTL deve constatare l’esistenza delle
condizioni
che giustifichino l’interdizione post-parto ma può disporre
immediatamente
l’astensione dal lavoro qualora il datore di lavoro, anche tramite la
lavoratrice, produca una dichiarazione da cui risulti in modo chiaro,
sulla
base degli elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale,
l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni, fermo restando la
possibilità di
effettuare accertamenti successivamente.
Infine, si
evidenzia che anche la proroga del congedo di maternità è strettamente
correlata allo svolgimento della prestazione di lavoro per cui non
è
possibile chiedere l’interdizione post-parto qualora non vi sia in atto
uno
svolgimento di prestazione lavorativa e, in caso di contratto
a tempo
determinato avente scadenza prima dei sette mesi dopo il parto, il
provvedimento di interdizione avrà la stessa scadenza del contratto di
lavoro.
Le sanzioni
Si
ricorda, ad ogni modo, che adibire una lavoratrice durante la
gravidanza
(purché il datore di lavoro sia stato informato) e fino a sette mesi
dopo il
parto a mansioni che comportino condizioni di lavoro o ambientali
ritenute
pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino, comporta l’arresto
fino sei mesi.
Norme e prassi |
- D.P.R. n. 1026/76, art. 18 - D.Lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, articoli da 6 a 18 ed allegati A, B e C - Interpello Ministero Lavoro e Politiche Sociali n. 97 del 1° giugno 2006 - Interpello Ministero Lavoro e Politiche Sociali n. 6854 del 20 novembre 2006 - Circolare Inps n. 62/2010 |
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