Impresa familiare: quota senza scorporo dell'aumento di valore degli immobili
Pubblicato il 25 gennaio 2021
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Pronuncia della Corte di cassazione in tema di impresa familiare e liquidazione della quota spettante al familiare che vi ha collaborato, una volta cessata l’impresa.
La determinazione della partecipazione agli utili e agli incrementi del familiare, in assenza di diversa Indicazione da parte del legislatore, va effettuata in relazione al valore complessivo dell'impresa.
Così, se l'incremento di valore di un fattore della produzione si è tradotto in un aumento di redditività dell'impresa medesima non si può scorporare dalla stessa la componente riferibile a fattori che si assumono del tutto estranei all'attività prestata dal partecipante al lavoro.
In maniera analoga, il verificarsi, durante la vita dell'impresa, di fattori di decremento dei beni con riflessi sulla produttività della stessa si riverbera sulla concreta liquidazione della quota del partecipante.
Tale soluzione è rispettosa del dato testuale dell'articolo 230-bis c.p.c. che, nel riconoscere al partecipante all'impresa familiare il diritto agli utili e agli incrementi e all'avviamento, non pone limitazioni connesse alla possibile azione di uno più fattori della produzione per cause esterne all'apporto familiare.
Essa è inoltre coerente con l’affermazione della Corte di legittimità secondo cui “il criterio di determinazione della quota di partecipazione del familiare è quello della quantità e qualità del lavoro svolto dallo stesso nella gestione dell'impresa e non della sua effettiva incidenza causale sul conseguimento degli utili ed incrementi che rappresentano soltanto l'effetto e non la misura dell'attività svolta”.
Non solo. La stessa appare anche rispettosa della complessiva finalità di tutela del partecipante all'impresa familiare che, nel disegno del legislatore, si configura quale strumento di realizzazione di interessi di rilievo costituzionale.
Partecipazione senza scorporo del valore di rivalutazione degli immobili
E’ alla luce di questi assunti che la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1401 del 22 gennaio 2021, ha accolto il motivo di ricorso promosso da un familiare, ex collaboratore in un'impresa familiare a cui era stata liquidata la propria quota di partecipazione.
I giudici di merito, pur confermando che la misura della partecipazione del ricorrente all'impresa familiare fosse pari al 60%, avevano ritenuto che la relativa quota dovesse essere calcolata una volta depurata dall'incremento di valore degli immobili in proprietà della moglie e da questa conferite all'impresa.
Tale incremento - a detta della Corte territoriale - non era infatti strettamente connesso all’apporto concreto dei partecipanti all'impresa familiare ma era scaturito dall’aumento di valore di mercato degli immobili, determinato dal passaggio di valuta dalla lira all'euro.
Con ricorso davanti ai giudici di legittimità, il deducente aveva censurato la sentenza di secondo grado lamentando, tra gli altri motivi, che la Corte di merito avesse demandato al CTU la determinazione del valore degli utili, degli incrementi, degli acquisti e dell'avviamento dell'impresa familiare, chiedendo che fossero espunti i dati riferiti all'incremento di valore di mercato dei beni immobile dell'impresa.
Doglianza giudicata fondata dalla Suprema corte, la quale, alla luce dei principi sopra richiamati, ha giudicato che la soluzione adottata nella decisione impugnata non fosse conforme a diritto.
Per la Corte di legittimità, infatti, l’aumento di valore degli immobili per effetto dell’introduzione della moneta unica poteva assumere rilievo ai fini della concreta determinazione delle spettanze al familiare-collaboratore in quanto si fosse tradotto in un generale fattore di accrescimento del valore dell’impresa unitamente considerata ed in definitiva, in una maggiore redditività della stessa.
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