I detenuti al 41-bis possono cuocere cibi in cella
Pubblicato il 15 ottobre 2018
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Consulta: illegittimità parziale per l’articolo 41-bis
La Corte costituzionale, con sentenza n. 186 depositata il 12 ottobre 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della Legge n. 354/1975 limitatamente alle parole “e cuocere cibi”, ovvero nella parte che impedisce ai detenuti in regime differenziato di cuocere cibi in cella.
Questioni di legittimità costituzionale sollevate
Le questioni di legittimità costituzionale della citata disposizione erano state sollevate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, in riferimento agli articoli 3, 27 e 32 della Costituzione, nel punto in cui “impone che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità per i detenuti in regime differenziato di cuocere cibi”.
In primo luogo, il rimettente aveva evidenziato come il divieto contenuto in questa previsione determinasse una disparità di trattamento tra i detenuti “comuni” e quelli soggetti al regime carcerario differenziato, disparità di trattamento non giustificata dalle finalità poste a base dell’imposizione del regime di cui all’articolo 41-bis “il quale tollererebbe soltanto le limitazioni necessarie a garantire le esigenze di ordine pubblico e sicurezza, e quelle finalizzate ad impedire i collegamenti del detenuto con l’associazione criminale di riferimento”.
Inoltre, era stato ravvisato anche un contrasto tra la disposizione censurata e l’articolo della Costituzione secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (articolo 27, comma 3).
Corte costituzionale: ingiustificata deroga all’ordinario regime carcerario
La Consulta ha riconosciuto sussistente la dedotta violazione degli articoli 3 e 27 della Carta costituzionale ritenendo assorbita la censura sollevata in relazione all’asserita violazione dell’articolo 32.
Funzione del regime del “carcere duro”
Nella decisione, viene dapprima ricordato come la giurisprudenza della stessa Corte abbia chiarito che il regime differenziato previsto dall’articolo 41-bis, comma 2, delle norme dell’Ordinamento penitenziario, sia volto a contenere la pericolosità di singoli detenuti, proiettata anche all’esterno del carcere, in particolare impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà.
Ciò che si intende evitare, ossia, è che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il regime penitenziario normale, “possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa”.
Orbene, secondo i giudici costituzionali, posto che anche i detenuti in regime differenziato possono svolgere limitati acquisti di generi alimentari al sopravvitto, “non è certo il divieto di cottura dei cibi a risultare congruo e funzionale all’obiettivo di recidere i possibili contatti con l’esterno che tali acquisti potrebbero comportare”.
Difatti, il divieto di cottura dei cibi, in quanto previsto in via generale ed astratta in riferimento ai detenuti soggetti al regime carcerario duro, è privo di ragionevole giustificazione.
Detto divieto, in definitiva, in quanto incongruo e inutile alla luce degli obiettivi cui tendono le misure restrittive autorizzate dalla disposizione in questione, si configura come un’ingiustificata deroga all’ordinario regime carcerario, dotato di valenza meramente e ulteriormente afflittiva.
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