Il correntista ha sempre interesse ad accertare l’anatocismo
Pubblicato il 06 settembre 2018
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Il giudice di merito deve comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte dal correntista in ordine alla nullità della clausola contrattuale che regola gli interessi anatocistici nell’ambito del proprio rapporto con la banca.
Questo anche se lo stesso non ha eseguito rimesse solutorie e se il rapporto è ancora in corso.
Anatocismo, da accertare anche senza rimesse solutorie
Il correntista, difatti, anche a fronte dell'acclarata insussistenza di rimesse solutorie, ha comunque interesse a che si accerti, prima della chiusura del conto:
- la nullità o validità delle clausole anatocistiche;
- l'esistenza o meno di addebiti illegittimi operati in proprio danno;
- l'entità del saldo (parziale) ricalcolato, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo.
Detto interesse ha rilievo, sul piano pratico, almeno in tre direzioni:
- della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime;
- del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell'affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem;
- della riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito).
E un sicuro interesse per il correntista, nella specie ricorrente, è stato riscontrato dalla Corte di cassazione – sentenza n. 21646 del 5 settembre 2018 – nell’ambito di una vicenda in cui questi aveva avanzato domanda di accertamento della nullità di una clausola contrattuale che regolava gli interessi anatocistici nell'ambito di un rapporto che lo stesso aveva con una banca.
Questa domanda era stata respinta dalla Corte territoriale sull’assunto che, al momento dell'introduzione del giudizio, il rapporto era ancora in corso e che, fino a quel momento, non vi era evidenza di versamenti aventi funzione solutoria.
Azione dal momento dell’annotazione dell’addebito illegittimo
Nell’accogliere il ricorso del risparmiatore, la Suprema corte ha ricordato quanto già osservato dalle Sezioni Unite, ed ossia che il correntista, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso (Cass. S.U. n. 24418/2010).
In definitiva, i giudici di merito, nella specie, avrebbero dovuto comunque statuire sul merito delle domande di accertamento proposte dal correntista, posto che l'acclarata insussistenza di rimesse solutorie non escludeva un interesse dello stesso rispetto alle pronunce invocate.
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