Dumping salariale e contratti pirata, siglata una nuova convenzione per contrastarli
Pubblicato il 17 ottobre 2019
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Lo scorso 19 settembre 2019 è stata sottoscritta ufficialmente la Convenzione tra Inps, Ispettorato nazionale del Lavoro, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, per l'attuazione del Testo Unico della Rappresentanza, siglato il 10 gennaio 2014, relativamente allo specifico obiettivo di porre maggiore controllo, in termini di rappresentanza, sugli organismi sindacali che partecipano ai tavoli di rinnovo dei CCNL di categoria, al fine di contrastare il dumping salariale e il fenomeno dei contratti pirata.
Come si appurerà nell’articolo, l’accordo prevede che i contratti collettivi siano validi se firmati dai sindacati che rappresentano più del 50% degli iscritti e che la partecipazione al tavolo della trattativa sia riservata solo ai sindacati che dimostrano di avere almeno il 5% di media tra iscritti e voti nelle RSU.
Dumping contrattuale: un fenomeno in crescita
La Convenzione in esame rappresenta un importante passo in avanti in tema di misurazione della rappresentanza sindacale, e dunque dei CCNL comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, poiché, il fenomeno del dumping contrattuale, vale a dire l'applicazione di contratti firmati da organizzazioni datoriali e sindacali non maggiormente rappresentativi e quindi con meno tutele per i lavoratori, risulta fortemente in crescita negli ultimi anni, secondo le stime dell’Ispettorato del Lavoro.
Si segnala che il contenuto di tale intesa, oltre a richiamare il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014, è la concreta applicazione dei pilastri contenuti nel documento definito “Patto per la fabbrica”, ovvero l’accordo siglato tra Confindustria e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil lo scorso 28 febbraio 2018, il cui principale scopo era infatti quello di porre un freno al dumping contrattuale, sempre più diffuso nel sistema delle relazioni industriali italiano.
Un fenomeno preoccupante in quanto, come anticipato, i contratti pirata garantiscono forme di tutela inferiori, in termini di trattamenti retributivi, aumenti salariali e flessibilità oraria, rispetto a quelle previste dai contratti collettivi firmati dalle organizzazioni di rappresentanza principali.
Di conseguenza, il dumping contrattuale può generare ripercussioni negative all’interno di un intero settore produttivo, visto che la sola esistenza di CCNL con costo del lavoro ridotto esercita una pressione al ribasso sulle retribuzioni dell’intero comparto e riduce il potere contrattuale dei sindacati più rappresentativi, a discapito dei lavoratori del settore.
NB! Molteplici sono gli studi che approfondiscono gli effetti della diffusione dei contratti pirata. Ad esempio, il report “I recenti sviluppi delle relazioni industriali in Italia”, pubblicato nel 2017 dalla Banca d’Italia, sottolinea che la diffusione di accordi “minori” ha conosciuto un corposo aumento dal 2010: nel 2015, ad esempio, gli accordi collettivi stipulati da organizzazioni marginali sono arrivati ad interessare circa il 9% delle unità lavorative annue del settore del commercio, circa il 3% dei lavoratori del comparto dei servizi e circa l’1% di quelli dell’industria e della manifattura. Ancora sul punto, come si evince dal comunicato dell’INPS che segnala la sigla della convenzione in commento, lo stesso CNEL, su 868 contratti collettivi depositati ha valutato in circa due terzi l’incidenza di “contratti pirata”. |
Il contenuto della convenzione
Al fine si realizzare gli scopi sopra illustrati, la Convenzione affida all’INPS, attraverso una apposita procedura telematica che sarà accessibile dal sito internet istituzionale, la rilevazione delle seguenti informazioni:
- “dato associativo”, ossia il rapporto fra lavoratori iscritti ad ogni OO.SS. e il totale degli iscritti al sindacato;
- “dato elettorale”, vale a dire il rapporto fra lavoratori che, nelle elezioni delle rappresentanze sindacali aziendali, hanno votato la specifica OO.SS. e il totale dei lavoratori i quali hanno preso parte al processo elettorale.
Di conseguenza, a seguito di tali rilevazioni, saranno considerati validi ai fini della contrattazione collettiva nazionale solo quei contratti sottoscritti da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% più uno della media del “dato associativo” e del “dato elettorale”.
In più, la stessa maggioranza sarà necessaria per la cd. “consultazione certificata” dei lavoratori che saranno chiamati a esprimersi sugli stessi accordi.
Ancora, l’accordo prevede che la partecipazione al tavolo della trattativa è riservata solo ai sindacati che dimostrano di avere almeno il 5% di media tra iscritti e voti nelle RSU.
NB! Garante del processo di certificazione sarà un Comitato ad hoc, composto da esponenti delle organizzazioni sindacali e datoriali, presieduto da un rappresentante del Ministero del Lavoro. |
L’azione dell’ispettorato del Lavoro contro il dumping contrattuale
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro negli ultimi anni ha intensificato l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping, così come nei confronti dei fenomeni di somministrazione o appalto illecita di manodopera e fenomeni simili.
Tale stretta vigilanza emerge, difatti, dalla circolare n. 3 del 25 gennaio 2018, con cui vengono fornite indicazioni agli ispettori circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping.
In dettaglio, dal documento si evince che l’azione ispettiva deve essere concentrata sulle imprese che non applicano i contratti collettivi stipulati da Cgil, Cisl e Uil, ma che applicano i contratti sottoscritti da organizzazioni sindacali meno rappresentative.
Lo stesso INL sottolinea inoltre che, fermo restando il principio di libertà sindacale, la fruizione di benefici, così come il ricorso a forme contrattuali flessibili, è ammesso a condizione che si applichino i contratti "leader" del settore, contratti che vanno comunque sempre utilizzati per l'individuazione degli imponibili contributivi.
Di conseguenza, le imprese che non applicano tali CCNL potranno, pertanto, rispondere di sanzioni amministrative, omissioni contributive e trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro flessibili ed anche gli eventuali soggetti committenti risponderanno in solido con le imprese ispezionate degli effetti delle violazioni accertate.
Segnatamente, da questo punto di vista, l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile per garantire:
- il godimento di benefici normativi e contributivi;
- che tale contratto rappresenti il parametro per il calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi.
NB! Alla luce di quanto sopra, ne consegue che, laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione. |
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