Divieto di licenziamento e condizioni di recedibilità
Pubblicato il 10 settembre 2020
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Il divieto di licenziamento, inizialmente posto dal Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, e successivamente rilanciato sino al 17 agosto 2020, è stato oggetto di proroga condizionale ai sensi dell'art. 14 del Decreto Agosto, allargando ipso facto le maglie alla preclusione di recedibilità datoriale per giustificato motivo oggettivo.
Il periodo d'interdizione viene, stavolta, fissato su termini mobili connessi all'utilizzo degli ammortizzatori sociali riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 ovvero al nuovo esonero contributivo previsto dall'art. 3, Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, al vaglio della Commissione europea.
Il blocco dei licenziamenti per gmo
Come disposto dai primi due commi dell'art. 14 del Decreto Agosto, è preclusa, ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 (ex art. 1 del medesimo decreto) ovvero dell'esonero contributivo previsto dall'art. 3, la possibilità di avviare o dar corso alle procedure collettive di riduzione di personale previste dagli artt. 4, 5 e 24, Legge 23 luglio 1991, n. 223, nonché di procedere con licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3, Legge 15 luglio 1966, n. 604.
Tale formulazione, scevra da proroghe certe e nette, crea soluzioni personalizzate alle singole imprese consentendo l'atto di recedibilità datoriale al termine di fruizione dei trattamenti di integrazione salariale (9 settimane decorrenti dal 13 luglio 2020 ed alle ulteriori 9 soggette alle condizionalità dell'art. 1, comma 2) ovvero al termine del periodo di fruizione dell'esonero dei versamenti contributivi riservato alle imprese che non richiedono le integrazioni salariali e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale ai sensi degli artt. da 19 a 22-quinques, Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, e successive modificazioni.
Ulteriori ipotesi di recedibilità sono state, altresì, concesse nei casi in cui i licenziamenti siano sorretti da cessazione definitiva dell'attività d'impresa, fallimento senza esercizio provvisorio, ovvero nel caso in cui venga stipulato un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, contenente un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro e limitatamente ai lavoratori che vi aderiscono.
Decreto Agosto, integrazioni salariali ed esonero contributivo
La corretta interpretazione del riformulato divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve necessariamente passare da un breve cenno sugli ulteriori istituti ad esso collegati che ne sanciscono la durata.
Per quanto concerne i trattamenti di integrazione salariale la misura, prevista dall'art. 1, consente ai datori di lavoro, che riducono o sospendono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19, di accedere, per i periodi decorrenti dal 13 luglio 2020 e sino al 31 dicembre 2020, ai trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga, come disposto dagli artt. da 19 a 22-quinques del Decreto Cura Italia e ss. modificazioni, per una durata di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane esclusivamente nei casi in cui sia stato interamente fruito il periodo precedentemente concesso e previa autocertificazione relativa alle eventuali perdite di fatturato tra il primo semestre 2020 ed il corrispondente semestre 2019. Altresì, nel susseguirsi di provvedimenti e proroghe relative alle integrazioni salariali richiedibili, il medesimo articolo fissa il giorno zero dal quale computare la durata massima dei periodi richiedibili, dovendo imputare, alle prime nove settimane, gli eventuali periodi successivi al 13 luglio 2020.
La misura alternativa all'accesso ai trattamenti di integrazione salariale è, invece, costituta dall'esonero dal versamento dei contributi previdenziali, anch'essa irrimediabilmente collegata al divieto di licenziamento.
In particolare, ai sensi dell'art. 3, Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, ai datori di lavoro privati, che non richiedono i predetti trattamenti di integrazione salariale e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, degli ammortizzatori sociali previsti dagli artt. da 19 a 22-quinques del Decreto Cura Italia, è riconosciuto l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dell'azienda, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili fino al 31 dicembre 2020, nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all'INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. Non entrando nel merito delle modalità di riconoscimento dell'esonero, quasi certamente oggetto di apposita istanza, e sull'eventuale regolarità contributiva dell'impresa, l'effettiva possibilità di fruizione del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ed alle opportune indicazioni che vorranno pervenire dall'Istituto previdenziale.
Termini e deroghe ai licenziamenti per gmo
Come anticipato, il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, alla luce della rivisitata "proroga" del Decreto Agosto, si libera dalla generale ed incondizionata rigidità della precedente disciplina, risultando strettamente connesso all'utilizzo integrale dei trattamenti di integrazione salariale previsti dall'art. 1 o dell'ancora inattuato esonero contributivo. Tali condizionalità, chiare nell'obiettivo ricercato dal Legislatore, non tengono conto di alcune fattispecie concrete che, paradossalmente, resterebbero imbrigliate nella matassa legislativa.
Invero, si pensi ad un datore di lavoro che nei mesi di maggio e giugno non abbia utilizzato i trattamenti di integrazione salariale, risultando, dunque, precluso l'accesso all'esonero contributivo, e che non necessiti di interventi di integrazione salariale per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19. O ancora, il datore di lavoro che non abbia fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei trattamenti di integrazione salariale può licenziare per giustificato motivo oggettivo un lavoratore assunto successivamente al 25 marzo 2020? Forse, un'interpretazione, non certamente letterale del dettato normativo, voleva ricondurre il divieto di licenziamento non già agli ammortizzatori sociali per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19 ma ai sostanziali motivi di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nonostante l'allargamento delle stringenti maglie del divieto di licenziamento ante D.L. n. 104/2020, il diritto di valutare ed attuare libere scelte nell'esercizio dell'attività economica imprenditoriale appare, ancora, fortemente precluso, costringendo tout court i datori di lavoro ad accedere alle integrazioni salariali connesse all'emergenza Covid-19, anche nel caso in cui la riduzione di personale sia stata valutata strutturalmente e non temporaneamente e ragionevolmente su una presumibile ripresa dell'attività produttiva.
Ad ogni modo, ai sensi del comma 3, art. 14, Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, la preclusione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo ovvero delle procedure ex art. 7, legge 15 luglio 1966, n. 604, non si applicano nei seguenti casi:
- licenziamenti per cessazione definitiva dell'attività a seguito della messa in liquidazione della società senza continuazione dell'attività (la cessazione parziale o la chiusura di un'unità produttiva, non consentirà di procedere al recesso datoriale).
- mancata cessione di un complesso di beni o di attività che possano configurare un trasferimento d'azienda ex art. 2112, Cod. Civ., tentato nel corso della liquidazione dell'impresa;
- fallimento senza esercizio provvisorio d'impresa;
- sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che preveda un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Accordo sindacale ed incentivo alla risoluzione
Tra le deroghe al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo sopracitate, vi è la possibilità di stipulare un accordo collettivo aziendale che preveda un incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro e che garantisce, eccezionalmente, ex lege l'accesso al trattamento di NASPI previsto dall'art. 1, Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22.
La norma, dunque, affida alle sole organizzazioni sindacali, in plurale composizione, comparativamente più rappresentative a livello nazionale la possibilità di stipulare tali accordi, escludendo le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali, dovendo rivolgersi, il datore di lavoro, alle rappresentanze territoriali di categoria.
La formulazione della norma ricorda la definizione di incentivazione all'esodo, parendo opportuno redigere l'accordo aziendale con la previsione degli aspetti economici e dei tempi di adesione per ogni singolo lavoratore. Nella determinazione del quantum disponibile il datore di lavoro dovrà, salvo smentite, tener conto del contributo di licenziamento, riconoscendo, l'anzidetta procedura, il trattamento di cui all'art. 1, Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in analogia alle risoluzioni consensuali previste dall'art. 7, Legge 15 luglio 1966, n. 604. Nell'ottica di un accordo aziendale con accesso volontario dei prestatori di lavoro parrebbe, altresì, opportuno definire, per singolo lavoratore, in sede protetta ogni posizione d'interesse ai sensi degli artt. 410 e 411, Cod. Proc. Civ.
I licenziamenti consentiti
Al di fuori dei recessi datoriali sorretti da giustificato motivo oggettivo, restano esclusi dal dettato normativo, precedente ed attuale:
- i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in considerazione della loro natura ontologicamente disciplinare (ex art. 7, Legge 20 maggio 1970, n. 300);
- i licenziamenti per superamento del periodo di comporto, ex art. 2110, Cod. Civ.;
- i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo d'età per la fruizione della pensione di vecchiaia ovvero per l'accesso alla c.d. quota cento;
- i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova;
- i licenziamenti dei dirigenti;
- i licenziamenti del personale domestico, c.d. ad nutum;
- i recessi al termine del periodo formativo nei rapporti di apprendistato professionalizzante.
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