Diffida accertativa e conciliazione: è dovuta la contribuzione accertata
Pubblicato il 29 agosto 2019
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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota n. 5066 del 30 maggio 2019 ha fornito istruzioni rispetto il contenuto di eventuali accordi conciliativi conclusi a seguito dell’adozione, da parte del personale ispettivo, di diffide accertative ex art. 12, D.lgs. n. 124/04. Tali accordi, a differenza delle conciliazioni monocratiche di cui all’art. 11 del D.lgs. n. 124 citato, intervengono non prima dello svolgimento del procedimento ispettivo, bensì all’esito di quest’ultimo e quindi dopo l’adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori o di recupero degli oneri previdenziali.
La diffida accertativa
Qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale, da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo, ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. n. 124/04, può diffidare il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.
I beneficiari e i destinatari della diffida accertativa
L’art. 12 comma 1 del D.lgs. n. 124 citato parla di “prestatori di lavoro”, senza operare alcun esplicito riferimento al lavoro subordinato. Anche l’uso della locuzione “datore di lavoro” è da intendersi nella sua più estesa genericità, come si evince dalla definizione contenuta nell’art. 2 lett. d) del D.lgs. n. 81/08.
Da tale premessa deriva, inevitabilmente, che la diffida accertativa può essere adottata tanto con riguardo al lavoro subordinato, quanto con riferimento ai rapporti di lavoro autonomo (collaborazione coordinata e continuativa). Tale interpretazione è stata integralmente condivisa dallo stesso Ministero del lavoro con circolare n. 24/2004 e, più recentemente, con circolare n. 1/2013.
L’oggetto della diffida accertativa
L’oggetto della diffida accertativa è individuato nei “crediti patrimoniali” che derivano al prestatore di lavoro, a seguito e in ragione della sua attività lavorativa. Tutto ciò che ha carattere di patrimonialità, qualsiasi emolumento che il datore di lavoro si sia impegnato a corrispondere al lavoratore, in costanza di rapporto ovvero alla cessazione dello stesso, può rientrare nell’ambito di applicazione dell’istituto in esame, con il solo limite, precisa la nota 5066/2019, che tali crediti devono comunque possedere le caratteristiche di certezza, liquidità ed esigibilità del credito. La circolare n. 1/2013 fornisce una “classificazione” relativa ai “crediti diffidabili”.
L’accertamento del credito oggetto di diffida deve essere effettuato al lordo delle ritenute di legge. Premesso che è connaturato all’attività ispettiva l’accertamento degli oneri contributivi correlati al rapporto di lavoro, viene comunque in rilievo l’arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in materia di accertamento e liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive, le somme debbono essere conteggiate al lordo delle ritenute di legge.
Per quanto concerne gli oneri contributivi la Suprema Corte osserva che “al datore di lavoro è consentito procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo”. Mentre per ciò che riguarda le ritenute fiscali, queste ultime seguono il principio di cassa e conseguentemente dovranno essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che quest’ultimo abbia effettivamente percepito il pagamento delle spettanze retributive (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 14/09/2015, n. 18044; recentemente Tribunale Rieti Sez. lavoro Sent., 31/01/2019; Tribunale Firenze Sez. lavoro Sent., 07/06/2018).
La procedura conciliativa all’esito della diffida accertativa
Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del lavoro. Dispone l’art. 12, comma 2, del D.lgs. n. 124 cit. che “in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all' articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile”.
Il tentativo di conciliazione va promosso dal datore di lavoro presso le sedi territoriali dell’Ispettorato e la nota 5066 cit. puntualizza che le modalità di espletamento di tale procedura sono quelle stabilite per la conciliazione monocratica e pertanto valgono le medesime limitazioni descritte con circolare del Ministero del Lavoro n. 36 del 2009.
In particolare, quest’ultima circolare esclude che possa procedersi a conciliazione monocratica qualora il procedimento ispettivo coinvolga plurimi lavoratori, ovvero abbia a oggetto irregolarità diffuse o fenomeni penalmente rilevanti. Si tratta, a ben vedere, di limiti stringenti, specie qualora l’accertamento svolto abbia avuto ad oggetto crediti previdenziali, giacché questi ultimi, per la natura pubblicistica degli interessi finanziari coinvolti, costituiscono sovente oggetto di ipotesi di reato, quali fattispecie ostative allo svolgimento della procedura di conciliazione.
La natura del credito assume un rilievo essenziale per comprendere i contenuti dell’eventuale accordo di conciliazione.
Conciliazione e accertamento contributivo
Invero, proprio con riferimento al rapporto previdenziale, la procedura di conciliazione di cui all’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit. segna un tratto differenziale rispetto alla conciliazione monocratica.
Quest’ultima, sebbene intervenga prima e soprattutto senza accertamento ispettivo, non può culminare con accordi novativi o elusivi degli oneri previdenziali (cfr. circolare n. 36 cit.). Al conciliatore è assegnato un ruolo di garanzia e il credito, come precisato dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 24 del 2004 e dalla circolare INPS n. 132 del 2004, va determinato nel rispetto del minimale contributivo di cui all’art. 1 del D.L. n. 338/1989.
La conciliazione su diffida accertativa, invece, interviene all’esito del procedimento ispettivo, sicché la determinazione della retribuzione imponibile va effettuata, non solo in rispetto al del principio del minimale, ma, come puntualizza la nota 5066/2019, “secondo quanto accertato dall’organo ispettivo, ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 338/1989 (conv. da L. n. 389/1989)”.
Al fine della quantificazione del dovuto e del conseguente accredito sulle posizioni individuali dei lavoratori occorre che le somme conciliate siano ripartite per i periodi di competenza. L’insorgenza, misura e riparto dell’obbligo contributivo viene determinato dalle risultanze ispettive.
Mancato accordo o mancato pagamento della somma conciliata: titolo esecutivo
L’art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 124 cit., recita conseguentemente che “decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista, con provvedimento del direttore [dell’attuale Ispettorato] del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo”.
Al riguardo va posto in evidenza un aspetto non trattato dalla nota 5066 cit. e concernente gli effetti correlati a un eventuale inadempimento dell’accordo conciliativo.
L’art. 11, comma 3 bis, del D.lgs 124 cit., stabilisce che il verbale “è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata”. La norma è stata inserita dall’art. 38, comma 1, della L. n. 183/10 (c.d. collegato lavoro), onde prevedere uno strumento snello per potere consentire alla parte interessata (verosimilmente il lavoratore) e in caso di inadempimento dell’accordo, di conseguire un titolo esecutivo, senza passare per la procedura monitoria.
L’art. 12, comma 2, del D.lgs n. 124 cit., invece prevede che “[…] in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all' articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile”. Nulla, in tal caso, viene detto circa la possibilità di depositare il verbale presso il giudice competente, per ottenere il decreto di esecutività.
L’applicazione strettamente letterale dell’art. 11, comma 3 bis, del D.lgs. n. 124 cit., sembra escludere che tale previsione sia mutabile anche in relazione al verbale di accordo concluso su diffida accertativa: “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Onde superare tale ostacolo si potrebbe pensare di inserire nell’accordo conciliativo una clausola risolutiva espressa, con la quale venga prevista la risoluzione del patto, per il caso di mancato pagamento dell’importo concordato o anche di una sola rata convenuta, con il consequenziale nuovo conferimento di effetti alla diffida accertativa pregressa. In tal modo quest’ultima potrà valere per l’importo residuo, come atto sul quale procedere all’adozione del decreto di convalida, ai sensi dell’art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 124 cit.
QUADRO NORMATIVO |
D.L. n. 338 del 9 ottobre 1989, conv. da L. n. 389 del 7 dicembre 1989 |
Ispettorato Nazionale del Lavoro - Nota n. 5066 del 30 maggio 2019 |
Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza.
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