Crisi di liquidità a causa di insoluti dei clienti? Niente condanna per evasione Iva
Pubblicato il 20 maggio 2022
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L'omesso versamento dell'Iva, dipeso dal mancato incasso di crediti, non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000, trattandosi di inadempimento riconducibile all'ordinario rischio d'impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica.
In tale contesto, è da considerare sicuramente non fisiologica una percentuale di insoluti per oltre il 40% del fatturato, cui segua una gravissima crisi di liquidità.
Ne consegue che se il mancato incasso si attesta in una percentuale particolarmente rilevante, può essere esclusa la colpevolezza dell'imputato.
E ancora. Nel reato considerato, ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del reato, è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative possibili per provvedere alla corresponsione del tributo, anche attingendo al patrimonio personale.
Mancati incassi rilevanti? Il dolo può essere escluso
Sono i principi di recente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di evasione Iva, sulla cui base la Corte di cassazione, con sentenza n. 19651 del 19 maggio 2022, ha annullato, con rinvio, la condanna penale impartita dalla Corte d'appello al legale rappresentante di una società per il reato di cui all'art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000 con contestuale applicazione della confisca delle somme di denaro ad egli appartenenti, anche per equivalente, fino alla concorrenza di quanto evaso.
Nella vicenda esaminata, l'imprenditore era stato accusato di non aver versato l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per conto della società, per un ammontare complessivo di oltre 940mila euro.
Valutazione colpevolezza: rinnovazione istruttoria dibattimentale in presenza di elementi decisivi
L'amministratore si era rivolto alla Suprema corte, lamentando la mancata acquisizione di prova decisiva e la mancanza di motivazione in riferimento alle richieste di acquisizione e di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale dallo stesso formulate con i motivi di appello. L'imprenditore aveva anche prospettato vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato o dell'esimente della forza maggiore.
Nell'atto di appello, infatti, l'imputato aveva allegato una serie di elementi di prova emersi dall'istruzione dibattimentale e aveva chiesto la rinnovazione della stessa per l'acquisizione di ulteriori elementi, ritenuti decisivi in quanto relativi alla sua assoluzione nonché all'accertamento dell'esistenza della crisi economica in cui versava la società, dell'entità e consistenza degli sforzi effettuati per fronteggiarla e della presenza di insoluti per un importo particolarmente rilevante da parte dei principali clienti.
Secondo la Cassazione, si trattava di circostanze che, alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, avrebbero dovuto essere considerate ai fini della valutazione della colpevolezza dell'imputato ma erano state del tutto ignorate dai giudici di gravame.
Da qui la decisione di annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata.
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