Covid. Sequestro del ristorante con cibo in cattivo stato di conservazione
Pubblicato il 11 marzo 2021
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Confermato il decreto di sequestro preventivo, disposto dal Giudice per le indagini preliminari, dell'immobile luogo di esercizio dell'attività di una società, relativamente ai reati di tentata vendita di sostanze alimentari non genuine e in cattivo stato di conservazione.
Con sentenza n. 9349 del 9 marzo 2021, la Suprema corte ha giudicato che la motivazione resa dal Tribunale del riesame per confermare la misura cautelare di specie, fosse adeguata, non contraddittoria e non manifestamente illogica.
I giudici di merito, per la Corte, avevano fatto corretta applicazione dei principi espressi, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità, rilevando che il fumus dei reati in accertamento risultava dagli esiti dell'accertamento della Polizia giudiziaria.
Non sussisteva, ciò posto, alcuna violazione di legge per come invece prospettato dal titolare dell’esercizio commerciale nel suo ricorso in opposizione, giudicato, conseguentemente, manifestamente infondato.
Verifica su conservazione alimenti nel periodo di chiusura per Coronavirus
La Polizia giudiziaria, infatti, al controllo del locale ristorante aveva rinvenuto della carne in cattivo stato di conservazione, all'interno di una cella frigorifera, "carne destinata alla vendita che presentava muffe bianche, verdi e chiazze nere, oltre ad essere, al tatto, viscida e umida, caratteristiche queste ultime sintomatiche anche di un'alterazione organolettica del prodotto alimentare, per un peso complessivo di 800 kg".
Gli stessi agenti avevano accertato l'assenza di strumentazione idonea alla conservazione del cibo e il mancato rispetto della procedura di mantenimento della carne destinata alla frollatura.
I controlli della P.G., in tale contesto, erano intervenuti proprio allo scopo della verifica della conservazione degli alimenti nel periodo di chiusura causata dall’emergenza Covid, in attesa delle riaperture.
Per quel che concerne il sequestro del ristorante e le esigenze cautelari, gli Ermellini hanno rilevato che l’originario provvedimento del Gip, al quale il Tribunale del riesame aveva fatto riferimento, evidenziava come la libera disponibilità della immobile comportava un estremo pericolo per la salute pubblica, in relazione alla rilevante quantità della merce sequestrata, in cattivo stato di conservazione.
Per la configurabilità del reato di cui all'art. 5 della Legge n. 283/1962 - si legge nella decisione - non è nemmeno necessaria la prova della messa in vendita degli alimenti e anche la valutazione sull’integrazione del tentativo rientra tra gli accertamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità.
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