Contratto di collaborazione con progetto generico: vige la presunzione di subordinazione senza ulteriori accertamenti

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L’impresa Beta, avente come oggetto sociale il commercio e la promozione di capi di abbigliamento, assume Tizio con contratto di collaborazione a progetto di cui all’art. 61 del D.lgs. n. 276/2003. Il contratto viene redatto per iscritto. Il progetto consiste nello svolgimento di attività promozionale per la vendita del vestiario e della merce presente all’interno del negozio. Il progetto contiene anche l’indicazione delle mansioni che Tizio deve svolgere nel corso della propria prestazione di lavoro. L’accordo viene preventivamente comunicato al Servizio per l’Impiego. Poco tempo dopo l’impresa Beta viene sottoposta ad accertamento ispettivo da parte del personale della DTL. Nell’occasione dell’accesso gli ispettori trovano intento al lavoro Tizio il quale riferisce di essere stato assunto dall’impresa Beta con contratto di collaborazione a progetto. A fronte di ciò gli ispettori senza espletare ulteriori accertamenti e senza acquisire informazioni in merito alle effettive modalità di svolgimento del rapporto di Tizio, riscontrano che tale rapporto è stato preventivamente comunicato al Servizio per l’Impiego. Di seguito chiedono all’impresa Beta l’esibizione del contratto di collaborazione stipulato con Tizio. Nell’occasione gli ispettori contestano alla committente la genericità del progetto poiché coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa e riqualificano il rapporto di Tizio come subordinato a tempo indeterminato. È corretto l’operato degli ispettori?




Il contratto di collaborazione a progetto: aspetti generali

In un mercato del lavoro sempre più caratterizzato da prestazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi e di risultati, parlare di collaborazione a progetto, quale contratto che esula dalla classica prestazione lavorativa, appare un controsenso. Si dovrebbe dire che gli odierni rapporti di lavoro sono generalmente funzionali ad un obiettivo e che pertanto il progetto rappresenterebbe lo schema classico della prestazione. Altro è arricchire, se non proprio ampliare considerevolmente, le scarne tutele previste per tale fattispecie negoziale, ma ciò non costituisce argomento spendibile in questa sede. Ciò che rileva, invece, al di là di tali considerazioni preliminari di politiche del lavoro, è che allo stato attuale il contratto di collaborazione a progetto risulta un istituto derogatorio rispetto al classico rapporto di lavoro.

I requisiti caratterizzanti le collaborazioni a progetto di cui all'art. 61, comma 1, D.lgs. 276/2003 sono rappresentati dalla continuità, dal coordinamento, dalla prevalente personalità della prestazione lavorativa e soprattutto dalla riconducibilità dell’attività stessa alla realizzazione di un progetto o programma di lavoro, o fasi di esso.

La continuità della prestazione è intesa come impegno, non occasionale, bensì costante del collaboratore a espletare la prestazione di lavoro in favore del committente.

La prevalente personalità della prestazione lavorativa postula la preminenza dell’attività lavorativa rispetto al capitale investito.

Ma le coordinate destinate a delineare esattamente il perimetro esterno dell'autonomia del collaboratore si esprimono soprattutto:

  1. nel collegamento funzionale della prestazione di lavoro, predeterminata contrattualmente, con l’organizzazione del committente (coordinamento);

  2. dal vincolo funzionale dell’attività lavorativa alla realizzazione del progetto, del programma di lavoro o della fase di esso (specificità del progetto).


Il coordinamento

Con riferimento al requisito sub 1) il Ministero del Lavoro con circolare n. 1 del 2004 ha stabilito che “il coordinamento può essere riferito sia ai tempi di lavoro che alle modalità di esecuzione della prestazione del progetto o del programma di lavoro, fermo restando ovviamente l’impossibilità del committente di richiedere una prestazione esulante dal progetto o programma di lavoro originariamente convenuto”.

Il concetto è stato reso in modo ancora più esplicito dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 17 del 2006 emanata per il settore dei call center, ma i cui contenuti sono pienamente trasponibili in altri settori di attività. Nell’occasione il Ministero ha precisato che “il collaboratore non può essere soggetto ad alcun vincolo di orario, anche se all'interno di fasce orarie prestabilite. Di conseguenza, deve poter decidere, nel rispetto delle forme concordate di coordinamento, anche temporale, della prestazione, se eseguire la prestazione ed in quali giorni; a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione giornaliera; se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera. Da un punto di vista organizzativo ne consegue che l'assenza non deve mai essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta”.

La specificità del progetto

Con riferimento all’aspetto sub 2), rappresentato dalla riconducibilità dell’attività del collaboratore “alla realizzazione di un progetto o programma di lavoro, o fasi di esso”, vale subito evidenziare che tale requisito (architrave su cui poggia la disciplina de qua), è stato introdotto con lo scopo antifraudolento di scongiurare il ripetersi, in futuro, dell'abusivo fenomeno dell'utilizzo improprio e talora fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative.

Il Legislatore non ha dettato le nozioni di progetto, programma e fase di lavoro. Tali definizioni sono state esposte dalla prassi amministrativa e segnatamente nella circolare n. 1 del 2004 del Ministero del Lavoro. Sul punto tuttavia si registra anche l’orientamento che ritiene tali termini sinonimi o complementari o che costituiscano una endiadi volta a valorizzare l’elemento della specificità, espressamente richiesto dallo stesso art. 61 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit.

E infatti, premesso che il contratto deve essere redatto in forma scritta ai fini della prova, lo stesso deve contenere, tra l’altro, l’indicazione specifica del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante.

Il progetto, pertanto, stando al dettato legislativo contenuto all’art. 61 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit., deve essere specifico e in tal senso va determinato dal committente sulla base della propria strategia aziendale e realizzato dal collaboratore con la propria personale attività. Sul contenuto della specificità il Ministero del Lavoro, con circolare n. 1 del 2004, ha osservato che il progetto va individuato nel suo contenuto caratterizzante, deve essere dedotto in contratto e che, pur potendo essere connesso all'attività principale o accessoria dell'impresa, non può totalmente coincidere con la stessa o ad essa sovrapporsi.

Con circolare n. 17 del 2006 e poi con circolare n. 4 del 2008 il Ministero del Lavoro ha ribadito che il progetto, il programma o fase di esso diventano parte del contratto di lavoro e devono essere specificati per iscritto ed individuati nel loro contenuto caratterizzante.

Segnatamente con circolare n. 4 cit. il Ministero ha rilevato che “il progetto non può limitarsi a descrivere il mero svolgimento della normale attività produttiva né può consistere nella semplice elencazione del contenuto tipico delle mansioni affidate al collaboratore”. In quest'ottica il progetto diviene l'oggetto essenziale del contratto e la sua funzione non è quella di indicare le modalità esecutive della prestazione, ma quella di delineare il risultato finale richiesto al collaboratore. In tal senso pertanto la non configurabilità di un effettivo progetto si ha allorché quest’ultimo non contenga alcun accenno all’obiettivo aziendale.

Trattasi a ben vedere di indicazioni che, in assenza di pronunciamenti della Suprema Corte, recepiscono comunque l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo la quale per “mancata individuazione del progetto si deve intendere sia la mancata indicazione formale del contenuto del progetto o programma sia la non configurabilità di un effettivo progetto (...). Appare evidente come il progetto non possa ritenersi adeguatamente descritto, consistendo nella semplice descrizione del contenuto delle mansioni attribuite al lavoratore, con l'indicazione generica dell'obiettivo che si intende raggiungere e senza alcun cenno alle attività prodromiche al progetto e funzionali al suo conseguimento”.

Il regime sanzionatorio

Il regime sanzionatorio per la mancanza o la non attuazione del progetto è contenuto nell’art. 69 del D.lgs. n. 276 cit., che rappresenta sostanzialmente la pietra angolare dell’intera disciplina.

a) Il regime sanzionatorio per il progetto specifico

Non pare dubitabile che ove il progetto sia specifico e ben strutturato l’indagine circa la genuinità del rapporto di collaborazione, in conformità a quanto previsto dal comma II dell’art. 69 del D.lgs. n. 276 cit., avrà ad oggetto la conformità fattuale della prestazione lavorativa rispetto al modello negoziale predisposto e ciò al fine di verificare se quest’ultimo dissimuli l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

b) Il regime sanzionatorio per il progetto generico

Ove invece tale specificità non sussista, nel senso che il progetto sia evanescente, generico e coincida sostanzialmente con l'oggetto sociale dell’impresa, troverà applicazione la sanzione prevista dall’art. 69 comma 1 cit.. Tale norma dispone testualmente che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. Al riguardo occorre precisare che, in base alle indicazioni sopra espresse, il riferimento alla mancata individuazione del progetto non va inteso in senso meramente formale, ma assume il significato sostanziale di assenza degli elementi che tipizzano l’obiettivo aziendale.

Sicché, con riferimento a quest’ultimo profilo sanzionatorio si tratta di comprendere se tale conversione operi automaticamente o se il personale ispettivo, a fronte della genericità del progetto, è comunque tenuto ad effettuare indagini accurate.

Con riferimento al primo aspetto la giurisprudenza di merito è sul punto divisa.

L’orientamento giurisprudenziale favorevole all’operatività della presunzione relativa (ammissione della prova contraria)

Secondo una prima linea interpretativa, l'art. 69 comma 1 del D. lgs. 276/03 configurerebbe una presunzione relativa circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sicché, in presenza di progetto generico, vi sarebbe pur sempre la facoltà di dimostrare che il rapporto instaurato con il collaboratore si è sviluppato con modalità fattuali tali da ricondurlo nell’alveo dell’autonomia.

Tale orientamento, pur considerando la presunzione contenuta nel citato art. 69 come relativa, muovendo dal presupposto che l'art. 69, D.lgs. n. 276/2003, impone al committente un onere descrittivo rigoroso circa il contenuto del progetto, giunge a ritenere che spetterebbe a costui l’onere di dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo, al fine di evitare la conversione del rapporto in subordinato a tempo indeterminato.

L’orientamento giurisprudenziale favorevole all’operatività della presunzione assoluta (non ammissione della prova contraria)

Altro e tuttora maggioritario orientamento della giurisprudenza di merito sostiene che l'interpretazione teleologica e sistematica del D.Lgs. n. 276/2003 renderebbe incongrua la tesi della presunzione relativa di subordinazione.

In tal senso pertanto, a fronte della mancanza o della genericità del progetto, la formula legislativa introdurrebbe evidentemente una presunzione assoluta di subordinazione, con la conseguenza che il committente non potrebbe fornire la prova contraria dell'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo.

Ben si comprende che propendere per l’una e per l’altra interpretazione incide anche sulle modalità di svolgimento dell’attività ispettiva, poiché laddove si aderisse all’orientamento circa la valenza della presunzione assoluta l’ispettore, una volta appurata la genericità del progetto, non è tenuto a compiere più alcuna attività istruttoria per procedere a riqualificare ex tunc il rapporto di lavoro come subordinato a tempo indeterminato. E ciò senza che tale conversione corra il rischio di venir smentita in sede giudiziale, sempre che, ben si intende, il progetto sia effettivamente generico. Si aggiunga altresì che nell’ipotesi in cui tale contratto fosse sì stato redatto per iscritto, ma con progetto generico e non comunicato al Servizio per l’Impiego, allora l’ispettore sarà tenuto anche ad applicare la c.d. maxisanzione, in quanto si troverebbe al cospetto non di un collaboratore, bensì di un lavoratore dipendente “in nero”.

Le prassi amministrative

Sennonché la disamina circa le modalità mediante le quali il personale ispettivo è tenuto a verificare la genuinità o meno del contratto a progetto e quindi la sua specificazione, deve necessariamente prendere le mosse dalle istruzioni diramate dal Ministero del Lavoro, giusta in tal senso la nota del 12 giugno 2009 prot. n. 25/Segr/8716 sulla procedimentalizzazione dell’attività ispettiva.

a) La c.d. direttiva Sacconi

Al riguardo occorre evidenziare la premessa metodologica posta dalla c.d. direttiva Sacconi del 18 settembre 2008 secondo la quale “l'accertamento ispettivo, riguardante i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in qualsiasi modalità anche a progetto, e le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, dovrà concentrarsi "esclusivamente" verso quelli che non sono stati già sottoposti al vaglio della commissione per la certificazione dell'articolo 76 del Dlgs 276/03, a meno che non si ravvisi una palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione della prestazione”.

Sicché si può ritenere che la disamina circa le specificità o meno del progetto riguardi proprio l’ambito dei contratti non certificati, poiché è lecito attendersi che non venga fornito un avallo certificatorio a contratti di collaborazione con progetto generici.

b) La circolare n. 1 del 2004 del Ministero del Lavoro

Ciò posto, il Ministero del Lavoro con circolare n. 1 del 2004 ha ritenuto che la presunzione posta dall’art. 69 comma 1 del D.lgs. n. 276 cit. fosse relativa e che pertanto potesse essere superata solo qualora il committente fornisca, non all’ispettore, bensì “in giudizio prova della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo”.

c) La circolare n. 4 del 2008 del Ministero del Lavoro

Tale concetto è stato implicitamente ribadito anche con circolare n. 4 del 2008 che, pur nella più grave ipotesi della mancata redazione per iscritto del progetto, garantiva comunque al committente la possibilità di provare in sede giudiziaria l’effettiva sussistenza di un rapporto di natura autonoma. Sul punto va segnalato che la circolare stimola il personale ispettivo a reprimere tali forme contrattuali ove non siano correttamente utilizzate.

d) La lettera circolare prot. n. 25/17286 del 3 dicembre 2008

Sennonché tale linea esegetica è stata sostenuta fino al repentino revirement interpretativo avvenuto con lettera circolare prot. n. 25/17286 del 3 dicembre 2008, resa in risposta a un chiarimento richiesto dall’INPS all’organo ministeriale.

Nell’occasione il Ministero ha precisato che “nel reprimere il fenomeno delle collaborazioni fittizie, l’attenzione degli ispettori dovrà dunque concentrarsi sui contenuti delle circolari n. 1/2004 e n. 17/2006, là dove la circolare n. 4/2008, nell’introdurre una sorta di «presunzione di subordinazione» per determinate tipologie di attività, non solo risulta in contrasto con quanto disposto dal decreto legislativo n. 276/2003, ma anche con un consolidato indirizzo interpretativo della Corte di cassazione secondo cui ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa in forma autonoma o subordinata, mentre decisivo, ai fini della applicazione della disciplina inderogabile del diritto del lavoro, è il requisito essenziale della subordinazione, desumibile anche dalle modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro […]”.

Con tale atto pertanto il Ministero, omettendo ogni riferimento alla giurisprudenza di merito formatasi in materia di contratti a progetto, ha dichiarato espressamente che in sede ispettiva, al fine di valutare la genuinità o meno del contratto a progetto debba essere abbandonato il principio della "presunzione di subordinazione". Ciò in favore di un accertamento volto a verificare il contenuto sostanziale del programma negoziale attraverso l’esame delle dichiarazioni rese in sede ispettiva e segnatamente del lavoratore occupato con tale contratto.

e) La circolare dell’INPS n. 111 del 2008

I contenuti di tale prospettazione sono stati poi recepiti dall’INPS con circolare n. 111 del 17 dicembre 2008. Tale atto richiama in premessa l’orientamento testé espresso dal Ministero del Lavoro, anche se a tale riguardo risulta errato il riferimento agli indici identificativi della nota Ministeriale. Benché ciò sia sintomatico che in materia vi siano idee opache, occorre tuttavia rilevare che i termini utilizzati dalla circolare dell’INPS sono perentori, dal momento che: “in ogni caso […] per poter procedere alla contestazione della sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto, non sarà sufficiente invocare la mera genericità del corrispondente contenuto negoziale o la sua non perfetta rispondenza alla fattispecie contrattuale di riferimento, costituendo, questi ultimi, elementi meramente indiziari. Inoltre, non si dovrà più tenere conto delle “presunzioni di subordinazione” introdotte dalla circolare ministeriale n. 4/2008 per determinate attività lavorative specificamente elencate. Occorrerà, di contro, fare riferimento esclusivamente agli indirizzi operativi forniti dalla già citata nota del Ministero. Quest’ultima, infatti, opera una distinzione tra gli elementi propriamente qualificanti la collaborazione e gli elementi aventi una valenza meramente indiziaria e presuntiva e, come tali, di per sé non idonei a far disconoscere la natura autonoma del rapporto di lavoro investigato […]”.

La locuzionein ogni caso” ha un significato inequivocabile che non lascia spazio a margini di dubbio. Così come a parere degli scriventi non pare dubitabile che le conclusioni contenute in tali atto interpretativo si discostino dalle finalità marcatamente repressive espresse dal Ministero con la circolare n. 4 del 2008 ed esprimano piuttosto l’idea di una maggiore ponderatezza nell’esercizio dell’attività di verifica.

Certo è che la coerenza di posizione e il coordinamento tra Enti sono valori cui l’ordinamento giustamente aspira, ma l’agire concreto sembra troppo spesso discostarsi da tali finalità.

E invero quando ormai la questione sembrava aver trovato nella prassi un punto di approdo il Ministero del Lavoro, forse non del tutto convinto delle proprie tesi, ha ritenuto di far marcia indietro per ricongiungersi con la logica della presunzione della subordinazione.

f) La risposta del Ministero del Lavoro ad interpello n. 5 del 2010

In dettaglio, con risposta ad interpello n. 5 del 2010 il Ministero del Lavoro ha sottolineato “la necessità - pena la presunzione di subordinazione - della predeterminazione, fra le parti, degli specifici progetti o programmi di lavoro o fasi di esso cui è riconducibile la collaborazione nonché la puntuale descrizione, in sede contrattuale, di esso e degli altri elementi indicati dall’art. 62 D.Lgs. n. 276/2003”. In tale occasione il Ministero tuttavia non ha qualificato la presunzione come assoluta o relativa e, in mancanza di una netta presa di posizione di segno contrario rispetto al pregresso orientamento, deve ritenersi, anche se con apprezzabile margine di dubbio, che tale orientamento sia stato confermato con la risposta de qua e che quindi la presunzione sia relativa.

Vero è che tale interpretazione è stata fornita con risposta ad interpello e non con circolare, ma sul punto la nota del 12 giugno 2009 prot. n. 25/Segr/8716 sulla procedimentalizzazione dell’attività ispettiva non colloca i due atti in scala gerarchica (né ciò avrebbe senso, né valenza giuridica plausibile), stabilendo solamente che tali atti hanno entrambi “carattere vincolante per il personale ispettivo”.

Per sciogliere il nodo interpretativo gli scriventi ritengono che debba seguirsi il criterio cronologico. Sicché, allo stato attuale, essendo la risposta ad interpello n. 5 del 2010 l’ultima istruzione diramata dall’organo ministeriale, può considerarsi che costituisca facoltà del personale ispettivo del Ministero del Lavoro, ove riscontri un contratto di collaborazione con progetto generico, applicare il criterio presuntivo e riqualificare il rapporto come subordinato a tempo indeterminato: e ciò anche senza effettuare ulteriori accertamenti sulle modalità fattuali di svolgimento del rapporto. Esigenze di opportunità se mai suggeriranno all’ispettore di corroborare la presunzione con puntuali dichiarazioni, al fine di garantire la solidità dell’accertamento a fronte di eventuali contestazioni amministrative o giudiziali.

Discorso differente ove l’accertamento venga condotto dal personale ispettivo dell’INPS, giacché per quest’ultimo l’atto vincolante è tuttora rappresentato dalla circolare n. 111 del 2008.

Sicché tale distonia può irradiarsi e assumere valenza significativa in fase di contestazione del verbale ispettivo.

La fase di contestazione del verbale

E infatti appare lecito domandarsi quale sia il criterio che guidi la decisione del Comitato Regionale dei Rapporti di Lavoro di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 124/04 laddove venga presentato ricorso avverso un verbale ispettivo che contenga la riqualificazione del rapporto di lavoro secondo le modalità presuntive sopra dette e che sia carente pertanto di ulteriori accertamenti circa le modalità fattuali di svolgimento del rapporto.

E invero, se sul piano giudiziario, a fronte del prevalente orientamento giurisprudenziale sopra citato, la riqualificazione del rapporto basata sulla mera genericità del progetto appare difficilmente confutabile, discorso differente (se si vuole anche paradossalmente) va fatto ove il ricorrente prediliga la contestazione amministrativa. Infatti il Comitato Regionale dei Rapporti di lavoro, al pari del personale ispettivo, è vincolato al rispetto sia delle circolari sia degli interpelli.

In altri termini, attesa la composizione dell’organo decidente, ci si chiede quale atto debba essere applicato in quella sede ai fini della decisione: la circolare n. 111 del 2008 dell’INPS o la risposta ad interpello n. 5 del 2010 del Ministero del Lavoro?

Allo stato attuale non risultano provvedimenti emanati in materia e solo il tempo darà le relative risposte. Per il momento invece, sulla scorta delle considerazioni sopra espresse, occorre risolvere il caso di specie.

Esame del caso concreto

Il personale della DTL ha sottoposto l’impresa Beta, esercente attività di promozione e vendita di capi di abbigliamento, ad accertamento ispettivo. In conseguenza di tale verifica gli ispettori hanno riscontrato che l’impresa ha occupato Tizio con contratto di collaborazione a progetto. Nell’occasione dell’accesso gli ispettori della DTL non hanno assunto informazioni sulle effettive modalità di svolgimento del rapporto di Tizio, ma hanno concentrato il loro operato a verificare se fosse stata effettuata la comunicazione preventiva del rapporto di lavoro al Servizio per l’Impiego e se il progetto fosse stato ben specificato. Alla presenza del primo requisito ha fatto da contraltare l’assenza della specificità del progetto, giacché il relativo contenuto, così come descritto in contratto, coincideva sostanzialmente con l’ordinaria attività dell’impresa. Tanto più che le mansioni assegnate a Tizio, anch’esse descritte nel progetto, non presentavano alcunché di caratteristico rispetto alla classica prestazione lavorativa svolta da un ordinario dipendente dell’impresa.

In ragione di ciò gli ispettori del lavoro, attese le istruzioni contenute nella risposta ad interpello n. 5 del 2010, hanno disconosciuto il contratto a progetto riqualificandolo in termini di subordinazione. A giudizio degli scriventi l’operazione appare in linea di massima corretta, anche se la stessa presta il fianco a critiche spendibili non tanto in sede giudiziaria, quanto e soprattutto dinanzi al Comitato Regionale dei Rapporti di Lavoro.

E invero quanto all’ambito processuale si è visto che la giurisprudenza di merito è recentemente propensa a ritenere che la sanzione della conversione del rapporto sia assistita da presunzione di legge assoluta che non ammette, da parte del committente, alcuna prova contraria. In quella sede, fatto sempre salvo l’assunto circa la genericità del progetto, l’impresa Beta potrebbe al più richiamare a proprio favore l’indirizzo che ritiene applicabile per tale violazione la presunzione relativa. Ma in tal caso rimarrebbero comunque sul tappeto serie difficoltà probatorie. Infatti considerato che la forma scritta del contratto è richiesta ad probationem e che l’assenza di tale forma non consente l’ammissibilità della prova testimoniale, non si vede in che modo (se non tramite il difficile mezzo del giuramento o della confessione) il committente potrebbe utilmente dimostrare l'esistenza di un rapporto di lavoro autonomo.

Discorso differente deve essere fatto laddove la contestazione al verbale venga mossa avanti al Comitato Regionale dei Rapporti di Lavoro, composto anche dal Direttore regionale dell’INPS. Infatti, a sommesso parere degli scriventi, in tale sede l’impresa Beta potrà far valere l’assunto che l’operato degli ispettori si discosta significativamente dalle istruzioni diramate dalla circolare dell’INPS n. 111 del 2008, giacché gli ispettori - anziché effettuare un accertamento puntuale e dettagliato sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro di Tizio - hanno limitato il proprio controllo alla modalità redazionale del contratto di collaborazione a progetto.

NOTE

i In tal senso circolare Ministero del Lavoro n. 4 del 2008.

ii Diversamente e con termini meno rigidi si è espressa la giurisprudenza amministrativa per la quale “se infatti è il ‘risultato’ che si pone al centro del tipo normativo, allora l'orario lavorativo va concepito in ‘funzione’ di esso: pertanto, così come possono darsi casi in cui la previsione di una determinata disponibilità continuativa del lavoratore non sia realmente indispensabile per il conseguimento del fine concreto avuto di mira dalle parti (e da esse considerato come elemento tipizzante la concreta causa negoziale), altrettanto possono verificarsi situazioni in cui la costante presenza del lavoratore sul luogo dell'esecuzione del contratto, per un preciso lasso temporale giornaliero (o settimanale o mensile), rivesta invece un'importanza nodale nell'economia del rapporto (ed è l'ipotesi che ricorre nella fattispecie esaminata); tanto perché il coordinamento, sotto tale aspetto, dell'attività del collaboratore con l'organizzazione produttiva del datore può talora risultare un passaggio essenziale ed indefettibile per l'utile realizzazione del programma o del progetto” (cfr. Cons. Stato n. 1743/2006).

iii Al riguardo la giurisprudenza di merito ha osservato che “procedendo con un'indagine ermeneutica di tipo teleologico sul significato dei termini progetto e programma appare evidente come il legislatore intendesse perseguire l'obiettivo antifrodatorio propostosi (il fine) tramite l'introduzione dell'obbligo per le parti di individuare, al momento dell'instaurazione del rapporto, ‘un progetto o programma o una fase di esso’ (il mezzo). L'unica accezione delle parole ‘progetto’ e ‘programma’, che possa essere conforme alla finalità antifraudolenta, senza eccedere in elementi aggiuntivi o in significati che alla medesima non appartengono, riporta semplicemente al concetto di "trasparenza" di quale sia la volontà delle parti al momento del perfezionamento del vincolo contrattuale. Adottando tale soluzione ermeneutica risulta chiaro come il progetto o programma (termini che appaiono un'endiadi) costituisce un elemento formale di carattere descrittivo che non muta la sostanza delle precedenti co.co.co. dovendo solo rendere ‘trasparente’ quale sia il concreto ‘incarico’ affidato al collaboratore ‘con una descrizione’ onerata da forma ‘ad probationem’”(cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 03/11/2010).

iv Il contratto deve contenere anche:

  1. l’indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;

  2. il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;

  3. le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;

  4. le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.

v Ben si comprende che ciò non significa che un’impresa di ristorazione che somministri piatti tipici debba stipulare, a garanzia delle genuinità del progetto, un contratto di collaborazione finalizzato a svolgere un’attività completamente difforme dal tipico oggetto sociale, ad esempio un contratto per vendere telefoni. Di contro si ritiene che tale impresa potrà assumere come collaboratore a progetto un cuoco per sperimentare o per far apprendere ai propri dipendenti nuove modalità di cucina come la preparazione di pietanze non tipiche. E così sempre procedendo per esempi si ritiene che un’impresa che commercializzi computer possa astrattamente stipulare con un esperto informatico un contratto a progetto per l’aggiornamento o l’innovazione del proprio sistema informatico e introdurre nuovi software di archivio.

vi Cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 18/07/2011; Trib. Milano, 28/07/2009; Trib. Trieste Sez. lavoro, 09/04/2009; Trib. Milano, 30/04/2008; Trib. Roma, 29/05/2008; Trib. Ariano Irpino, 19/05/2008; Trib. Milano, 10/10/2007; Trib. Milano, 08/01/2007; Trib. Milano, 02/08/2006; Trib. Pistoia, 17/03/2006.

vii Cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 03/11/2010.

viii Sulla distinzione delle presunzioni in assolute, relative e non stabilite dalla legge cfr. L'ispezione del lavoro" del 9 dicembre 2011 "Collaboratori e coadiuvanti familiari: sì alla maxisanzione prima del Collegato Lavoro".

ix Cfr. Trib. Bergamo Sez. lavoro, 12/10/2010; Trib. Bologna, 16/03/2010; App. Firenze, 09/02/2010; Trib. Roma, 11/02/2009.

Tale presunzione relativa si spiegherebbe in forza del principio per cui l'effettiva qualificazione del rapporto non potrebbe che dipendere dalle modalità mediante le quali le parti in concreto riempiono lo schema contrattuale formalmente adottato e non già da una scelta astratta ed espressa monte del Legislatore (c.d. principio di indisponibilità del tipo legale): tale principio è stato espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 121/93 e sentenza n. 115/94.

x Cfr. Trib. Bergamo Sez. lavoro, 12/10/2010; Trib. Trapani Sez. lavoro, 22/07/2010; Tribunale di Torino sezione lavoro sentenza del 05 aprile 2005; Trib. Torino Sez. lavoro, 17/05/2006.

xi Cfr. Trib. Trieste, 23/03/2011; Trib. Milano Sez. lavoro, 24/01/2011; Trib. Novara, 23/10/2009; Trib. Milano Sez. lavoro, 03/11/2010; App. Firenze, 12/01/2010; Trib. Milano, 28/07/2009; Trib. Milano, Sent. 21/06/2008; Trib. Modena Sez. lavoro, Sent. 30/01/2008; Trib. Milano, 10/10/2007; Trib. Grosseto, 15/05/2007; Trib. Milano, 23/03/2006.

Secondo tale indirizzo il principio di "indisponibilità del tipo" sarebbe garantito poiché lo stesso è volto a evitare sottrazioni di tutele al lavoro subordinato, quando nel caso de quo tale rapporto non viene negato, bensì affermato.

Altra argomentazione spesa per sostenere la tesi della presunzione assoluta consiste nel rilevare che l'art. 61 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. elenca tassativamente le ipotesi di collaborazioni coordinate e continuative senza progetto che possono sopravvivere, con la conseguenza che le collaborazioni coordinate e continuative senza progetto non sono nel nostro ordinamento più legittime in quanto costituiscono per definizione rapporti fraudolenti a danno del lavoratore (cfr. indicazioni in tal senso si traggono dalla risposta ad interpello n. 11 del 2007). Sicché il divieto è posto espressamente dall'art. 61 del D.lgs n. 276 cit. ed è sanzionato dal successivo art. 69, nel senso di far scaturire dal contratto quegli effetti legali che le parti, o meglio il contraente più forte, volevano eludere.

xii Invero la circolare 111 del 2008 dell’INPS fa riferimento alla nota prot. 25/I/0016984 del 27 novembre 2008. In realtà la nota corretta è la n. 25/17286 del 3 dicembre 2008.

xiii Cfr. conclusioni circolare INPS n. 111 del 2008.

xiv L’art. 17, comma 1, del D.lgs. n. 124/04 dispone che “presso la direzione regionale del lavoro è costituito il Comitato regionale per i rapporti di lavoro, composto dal Direttore della Direzione regionale del lavoro, che la presiede, dal Direttore regionale dell'INPS e dal Direttore regionale dell'INAIL. Ai componenti dei comitati non spetta alcun compenso, rimborso spese o indennità di missione ed al funzionamento dei comitati stessi si provvede con le risorse assegnate a normativa vigente sui pertinenti capitoli di bilancio”.

xv Fatta salva l’ipotesi di cui all’art. 2724 n. 3 c.c.

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