Contratto a tempo determinato: tra conversione del rapporto e lavoro nero

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L'impresa Alfa assume a tempo determinato tre dipendenti: Tizio, Caio e Sempronio. I contratti di Tizio e di Caio vengono stipulati per una durata inferiore a sei mesi, dal 01/03/11 al 30/06/2011. La causale giustificativa del termine reca la dicitura “per la necessità di utilizzare figure professionali specializzate da impiegare nell’attività di installazione, di collaudo e di avvio di nuovi software volti al rinnovamento delle procedure amministrative e commerciali”. Il contratto di Sempronio invece viene stipulato per una durata superiore a sei mesi dal 01/01/2011 al 31/07/2011 per “esigenze produttive dovute a incremento di attività”. Ciascuno dei predetti dipendenti, alla scadenza del termine pattuito, su richiesta dell'Impresa Alfa, continua la propria prestazione: Tizio per 10 giornate; Caio per 25 giornate; Sempronio per 35 giornate. A fronte di tale prosecuzione, l'Impresa Alfa non effettua alcuna comunicazione al servizio per l'impiego, né assolve in favore dei dipendenti ad alcun obbligo retributivo e contributivo. In data 20/10/2011 la DPL svolge accertamenti di competenza, le cui risultanze evidenziano che la prestazione di Tizio e Caio è stata conforme al programma contrattuale. Per la prosecuzione dell'attività di Tizio viene adottata diffida accertativa. Il contratto di Caio viene invece convertito a tempo indeterminato a decorrere dal 21/07/2011, vengono conteggiate cinque giornate effettive di lavoro in nero e viene diffidato il datore di lavoro a consegnare una corretta lettera di assunzione a Caio. Anche in favore di tale lavoratore viene adottata diffida accertativa. Rispetto alla posizione di Sempronio la DPL non effettua alcun accertamento sulle modalità di svolgimento della prestazione e converte il contratto in tempo indeterminato con decorrenza dalla data di instaurazione del rapporto, cioè dal 01/01/2011. Oltre alla diffida accertativa, viene inoltre applicata la sanzione per lavoro nero per le 35 giornate successive alla scadenza del termine apposto al contratto e viene diffidato il datore di lavoro a consegnare una corretta lettera di assunzione al lavoratore Sempronio. I disvalori contenuti nel libro unico, per effetto delle violazioni sopra descritte, vengono sanzionati con diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04. A parere degli scriventi l'operato della DPL è sostanzialmente corretto: vediamo perché.




La disciplina generale per l'apposizione del termine

L’art. 1, comma 1, D.lgs n. 368/2001, consente l’apposizione di un termine, alla durata del contratto di lavoro subordinato purché sussistano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività del datore di lavoro.

Secondo un indirizzo interpretativo l’inserimento del termine contrattuale sarebbe ammissibile a condizione che le ragioni poste alla base del negozio abbiano carattere temporaneo.

Secondo altra prospettiva invece la temporaneità non costituirebbe un connotato essenziale delle ragioni legittimanti l’apposizione del termine, essendo piuttosto necessario che tali ragioni siano effettivamente esistenti, oggettive e comprovabili, da parte del datore di lavoro.


La tematica non riveste carattere meramente terminologico, giacché propendere per l’una o per l’altra soluzione significa stabilire la legittimità o meno della clausola di apposizione del termine.

L’art. 1 comma 39 della L. n. 247/07, ha modificato l’art. 1 del D.lsg. n. 368 cit. disponendo che “il contratto di lavoro è stipulato di regola a tempo indeterminato”. Successivamente il D.L. n. 112/08 conv. con mod in L. n. 133/08, dopo le parole “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ha inserito l’inciso “anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”. A seguito di tali novelle, il Ministero del Lavoro ha ritenuto che “[…] la previsione di cui al comma 1 non reintroduce una presunzione legale a favore del contratto a tempo indeterminato ma (semplicemente) ribadisce che tale tipologia rappresenta la fattispecie ordinaria di costituzione del rapporto di lavoro […]”. In sostanza il Ministero appare che aderisca alla tesi secondo cui il termine può essere apposto anche in assenza di esigenze eccezionali e temporanee: ciò che conta è la giustificazione dei motivi posti alla base del contratto.

Le ragioni per l'apposizione del termine devono infatti risultare dal contratto in modo puntuale e circostanziato, al fine di spiegare analiticamente i motivi e le esigenze aziendali. In tale senso, pertanto, l’obbligo di specificazione di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 368 cit. potrà ritenersi osservato qualora venga individuato lo specifico settore aziendale presso cui il lavoratore sarà tenuto a svolgere la propria prestazione, le effettive mansioni assegnate a costui e il collegamento che unisce la ragione oggettiva all’assunzione a termine.

Una volta che tali requisiti siano stati enunciati diventano irretrattabili e, pertanto, non possono essere modificati o integrati in corso di rapporto: in altre parole la mancanza o l’inidoneità degli stessi comporta un vizio strutturale dell’atto.


L'illegittima apposizione del termine

L'art. 1, comma 2, prevede che la clausola giustificativa del termine deve risultare con forma scritta ad substantiam, pena l'invalidità della stessa.

L'onere probatorio di dimostrare la sussistenza delle ragioni grava sul datore di lavoro, il quale, lungi dall’assolverlo mediante un mero richiamo "testuale" delle motivazioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, è tenuto piuttosto a specificare in concreto le ragioni che hanno reso necessario il ricorso a tale tipologia contrattuale.

Pertanto non appare possibile indicare genericamente le ragioni oggettive di cui all’art.1, comma 1 del D.lgs. n. 368 cit. ovvero riprodurre nel contratto il testo della legge o ancora rinviare tout court alle causali contenute nei contratti collettivi, essendo indispensabile una rigorosa specificazione del contesto aziendale legittimante l’assunzione a termine.

L’inosservanza delle modalità e della forma prescritta determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1419 II comma c.c., con la conseguenza che il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data di assunzione.

Sotto tale aspetto la prassi amministrativa ha fatto applicazione del consolidato principio giurisprudenziale ribadito anche recentemente dalla S.C. secondo la quale, sia nel caso in cui il termine non risulti da atto scritto, sia nel caso in cui manchi la indicazione di una sufficiente ragione giustificativa, la sanzione consiste nella conversione in rapporto a tempo indeterminato, per nullità parziale della clausola appositiva del termine.

Tale sanzione troverà altresì applicazione anche quando le ragioni giustificative del termine, sebbene indicate in contratto, siano del tutto avulse rispetto alla prestazione resa nel contesto aziendale dal lavoratore. Con la conseguenza che anche in tale ipotesi il rapporto dovrà ritenersi costituito a tempo indeterminato.


Prosecuzione del rapporto oltre il termine prefissato

La tematica relativa alla legittima apposizione del termine al contratto è strettamente collegata con un aspetto non meno rilevante e che riguarda lo svolgimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente al di là della naturale scadenza del contratto.

Si tratta in sostanza di verificare le conseguenze in capo al datore di lavoro che continui ad avvalersi della prestazione del lavoratore oltre il termine, legittimamente o illegittimamente, apposto dalle parti nel contratto.

Al riguardo, l'art. 5 D.Lgs. n. 368/01 ai commi 1 e 2 prevede che ove la prestazione di lavoro si protragga al di là del termine fissato nel contratto, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione (con tutto ciò che ne segue in termini previdenziali) parametrata in relazione alle giornate di continuazione della prestazione. Tale maggiorazione ammonta al 20% fino al decimo giorno successivo alla scadenza e al 40% per ciascuna giornata di lavoro ulteriore. Tuttavia ove il rapporto di lavoro prosegua oltre il ventesimo giorno dalla scadenza del termine pattuito e il contratto sia di durata inferiore a sei mesi, il vincolo negoziale si converte a tempo indeterminato, alla scadenza del termine di venti giorni. Se invece il contratto a termine ha durata superiore a sei mesi tale conversione si verifica allorché la prestazione del dipendente si sia protratta oltre il trentesimo giorno successivo alla scadenza del termine apposto ab origine al negozio.

La prosecuzione del rapporto al di là del termine non esaurisce i suoi effetti sul piano civile, (retributivo e contributivo), giacché ad essa si collegano anche conseguenze di natura amministrativa rilevate nel caso di specie dalla DPL nel corso del proprio accertamento ispettivo.


Esame del caso concreto: i contratti stipulati con Tizio, Caio e Sempronio

La DPL nel corso delle verifiche di competenza ha riscontrato che l’impresa Alfa ha stipulato con i dipendenti Tizio, Caio e Sempronio contratti a tempo determinato. Per i primi due lavoratori il contratto era di durata inferiore a sei mesi (dal 01/03/2011 al 30/06/2011), mentre per il dipendente Sempronio la durata del rapporto è stata superiore a sei mesi (dal 01/01/2011 al 31/07/2011). Nell’occasione è stato riscontrato che ciascuno dei predetti lavoratori ha proseguito la propria prestazione oltre la data di naturale scadenza dei contratti, anche se con termini differenti: per Tizio la prosecuzione è stata di 10 giorni, per Caio di 25 giorni, mentre per Sempronio il termine di slittamento è stato di 35 giorni lavorativi.

Prima di accertare i presupposti ex art. 5 comma 1 e 2 D.Lgs. n. 368 cit., la DPL ha esaminato il rispetto delle condizioni di legittima apposizione del termine.

In altri termini atteso che l’inosservanza dell’art. 1 del D. Lgs. n. 368 cit. determina la conversione del rapporto a tempo indeterminato con effetti ex tunc e quindi a decorrere dall’atto della stipulazione del contratto, il ricorrere di tale ipotesi impedisce l’applicazione dell’art. 5 comma 1 e 2 del D.lgs. n. 368 cit.. A parere degli scriventi quest'ultima disposizione presuppone infatti che il contratto sia ab origine strutturalmente valido, nel senso che il termine sia stato correttamente apposto, ma che il rapporto di lavoro invece si sia svolto con modalità non conformi rispetto a quanto pattuito.


a) I contratti di Tizio e Caio

Passando all'esame del caso concreto, nel contratto di lavoro di Tizio e Caio la clausola giustificativa del termine recava la dicitura “per la necessità di utilizzare figure professionali specializzate da impiegare nell’attività di installazione, di collaudo e di avvio di nuovi software volti al rinnovamento delle procedure amministrative e commerciali”.

La DPL ha ritenuto tale motivazione sostanzialmente corretta, perché puntuale e circostanziata, atteso che in essa è stato indicato, sia lo specifico settore aziendale presso cui sono stati adibiti i lavoratori Tizio e Caio, sia le effettive mansioni assegnate a costoro, sia il nesso che univa la ragione oggettiva all’assunzione a termine. Tale giudizio, che a parere degli scriventi appare in linea con i principi sopra esposti, è stato avvalorato altresì anche dagli atti istruttori acquisiti nel corso dell'accertamento i quali hanno evidenziato la conformità fattuale della prestazione svolta da Tizio e Caio rispetto a quanto stabilito nel contratto.

In considerazione di tale conformità lo step successivo è stato l'esame circa l'applicazione del regime di cui all'art. 5 commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 368 cit., in considerazione del protrarsi della prestazione di Tizio e Caio rispetto al termine di naturale scadenza dei rispettivi contratti, con contestuale verifica circa la sussistenza della fattispecie di lavoro nero.

Proprio con riferimento a quest'ultimo profilo il Ministero del Lavoro con risposta a interpello del 7 maggio 2009 prot. n. 25/I/0006689 ha precisato che la maxisanzione non trova applicazione laddove la prestazione del lavoratore a termine si protragga oltre la data di conclusione inizialmente apposta al contratto, ma rientri nei termini previsti dall'art. 5, comma 2, D.Lgs. 368/200. Da ciò si arguisce che la sanzione de qua debba essere applicata solo laddove i termini predetti siano stati travalicati.

In base tale criterio, pertanto, la DPL ha diversificato la posizione dei lavoratori Tizio e Caio.

a.1) Tizio

Per quel che concerne il rapporto di Tizio, la prestazione di costui si è protratta solo per dieci giorni successivi alla conclusione del contratto, ergo per un lasso temporale inidoneo a determinare, tanto la conversione del rapporto ai sensi dell'art. 5 comma 2 del D. Lgs. n. 368 cit. quanto il ricorrere dell'ipotesi di lavoro in nero. Considerato, tuttavia, che dagli atti ispettivi è emerso che la maggiorazione retributiva del 20% stabilite dell'art. 5 comma 1 del D.lgs. n. 368 cit. non è stata corrisposta, da parte dell'Impresa Alfa, al lavoratore Tizio, il personale ispettivo ha adottato in favore di questi diffida accertativa ex art. 12 D.lsg. n. 124/04..

a.2) Caio

Per quanto riguarda invece la prestazione di Caio anche quest'ultimo, al pari di Tizio, risultava titolare di contratto di durata inferiore a sei mesi, tuttavia la sua prestazione, a differenza di quella del proprio collega, è proseguita per ben 25 giorni oltre il termine di naturale scadenza del contratto, superando così di cinque giorni il termine di cui all'art. 5 comma 2 del D.lgs. n. 368 cit..

Al che nulla quaestio circa l'operato della DPL che, per un verso ha convertito il rapporto di lavoro di Caio a tempo indeterminato a decorrere dal ventesimo giorno successivo alla scadenza del termine contrattuale (cioè dal 21/07/2011). Per altro verso, e in applicazione del principio stabilito dal Ministero del Lavoro con risposta ad interpello sopra citato, ha ricondotto nell'alveo del lavoro nero il rapporto del predetto lavoratore, avendo la prestazione di costui superato il limite di venti giorni di cui all'art. 5 comma 2 del D.lgs. n. 368 cit.. La maxi-sanzione, invece, è stata applicata per le cinque giornate di lavoro effettive comprese tra il 21/07/2011 e il 25/07/2011. E infatti il pregresso periodo di venti giorni (dal 01/07/2011 al 20/07/2011) è stato ritenuto coperto dal regime di cui all’art. 5 comma 1 del D. Lgs. n. 368 cit., il quale prevede un aumento della retribuzione del 40%, posto alla base del provvedimento di diffida accertativa. In ultimo, è stata adottata diffida ex art. 13 D.Lgs. 124/04 a consegnare una corretta lettera di assunzione al lavoratore.


b) Il contratto di Sempronio

Da ultimo l'accertamento della DPL ha riguardato anche il rapporto di lavoro di Sempronio il cui contratto a termine recava la dicitura giustificativa: “esigenze produttive per incremento di attività”. Tale locuzione è stata censurata come generica e sostanzialmente riproduttiva del testo della legge, in quanto non evidenziava quali fossero le ragioni oggettive poste alla base dell'assunzione a termine di Sempronio. Sicché il personale ispettivo ha rilevato per tabulas la nullità della clausola e, senza sindacare le modalità fattuali della prestazione, ha accertato la conversione del rapporto di lavoro del predetto dipendente a tempo indeterminato con efficacia ex tunc (pertanto a decorrere dal 01/01/2011). La nullità della clausola, inoltre, ha comportato la non applicazione dell'art. 5 commi 1 e 2 del D.lgs. n. 368 cit. e del relativo periodo di tolleranza di giorni trenta, così come stabilito dalla risposta a interpello del 7 maggio 2009 sopra citata, con la conseguenza che tutte le complessive 35 giornante di lavoro svolte da Sempronio, al di là del termine illegittimamente apposto al contratto (31/07/2011), sono state correttamente qualificate come prestazione in nero, con connesso provvedimento di diffida accertativa per mancata corresponsione della retribuzione.

Atteso che l'accertamento della DPL è stato effettuato in data 20/10/2011 e quindi oltre il termine di scadenza per la compilazione del libro unico, i disvalori connessi alle violazioni sopra descritte, sono stati censurati con diffida mediante le modalità descritte dalla Circolare n. 23 del 30 agosto del 2011 e vademecum LUL sezione C punto 7. Un'ultima sanzione ha riguardato la lettera di assunzione, da riconsegnare al lavoratore con i dati corretti mediante diffida ex art. 13 D.Lgs. 124/04.


NOTE

i Piccolo pro-memoria:

art. 1 D.Lgs. 368/2001

01. Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato.

1. È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

2. L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.

[...]

art. 5 D.Lgs. 368/2001

1. Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell'articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.

2. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

[...]

ii cfr. Trib. Pisa 6 novembre 2002; Trib. Reggio Calabria 20 luglio 2007 e in dottrina V. Speziale, La riforma del contratto a tempo determinato, in Dir. Rel. Ind. 2, 2003, p. 234.

iii Trib. Roma 9 dicembre 2004; Trib. Roma 12 gennaio 2005; S. Ciucciovino, Il contratto a tempo determinato: la prima stagione applicativa del D.lgs. n. 368/2001, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind. 3, 2007, p. 455 ss..

iv cfr. Ministero del Lavoro, Circolare n. 13/2008.

v Al riguardo è stata ritenuta ammissibile una specificazione anche ob relationem ad altri testi scritti, sempre che gli stessi siano accessibili alle parti del rapporto di lavoro (cfr. Cass. Civ. Sez. lavoro, 01/02/2010, n. 2279).

vi cfr. Trib. Milano 31 ottobre 2003, in Riv. Giur. Lav. 4, 2005, p. 712, e recentemente anche Trib. L'Aquila Sez. lavoro, 09/03/2011.

vii La circolare di Confindustria del 10 ottobre 2001 n. 16776 ha suggerito ai propri associati di specificare con adeguato dettaglio le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo che motivano l’assunzione a termine, cfr. Trib. Roma 10 gennaio 2008; Corte App. Roma 6 giugno 2008.

viii cfr. Trib. Milano Sez. lavoro, 22/01/2010.

ix Cass. civ. Sez. lavoro, 11/05/2011, n. 10346; Trib. Milano Sez. lavoro, 11/05/2011; Trib. Ariano Irpino, 01/12/2009. Infatti la S.C. ha statuito che “l'onere di specificazione della causale nell'atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate”. Puntualizza sempre la S.C. che il concetto di specificità debba essere “[…] collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato[…]” (cfr. Cass. Civ. Sez. lavoro Sent., 26/01/2010, n. 1576).

x cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 21/05/2008, n. 12985; Trib. Bologna Sez. lavoro, 11/11/2010; Trib. Milano Sez. lavoro, 05/07/2010. Autorevole dottrina, tuttavia minoritaria (cfr. Valebona-Pisani, Il nuovo contratto a termine, Padova, 2001, p. 36) afferma che l’apposizione del termine costituisca condictio sine qua non del contratto, in assenza della quale quest’ultimo deve ritenersi radicalmente nullo, con la conseguente applicazione dell’art. 1419 I comma c.c. e l’instaurazione di un rapporto di lavoro di fatto ai sensi dell’art. 2126 c.c.. Tale prospettiva postula un accertamento rigoroso della comune volontà del datore di lavoro e del lavoratore di instaurare esclusivamente un rapporto a termine e di non mantenere in essere il contratto nel caso in cui venga accertata la nullità del termine.

xi Ministero del Lavoro, Circolare n. 42 del 01/08/2002.

xii I Giudici di Legittimità precisano che “[…] a tale conclusione, in mancanza di espressa sanzione per il caso di vizi sostanziali […] si giunge attraverso l'interpretazione sistematica, i cui parametri normativi sono costituiti dalla direttiva comunitaria (in particolare, dalla clausola n. 8 di non regresso) recepita dal D.Lgs. n. 368/2001, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze Mangold e Adeneler, in particolare) e dal coordinamento logico degli artt.1, 4 e 5 dello stesso decreto legislativo, nel solco tracciato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 210/1992 sulla inderogabilità tipica delle norme poste a tutela dei lavoratori […]”(cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 21/05/2008, n. 12985).

xiii cfr. Trib. Milano 31 dicembre 2004.


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