Contagio da sangue infetto, la clinica non risponde

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Contagio da sangue infetto, la clinica non risponde

La casa di cura privata non è tenuta a risarcire il paziente che ha contratto una patologia a seguito di trasfusioni di sangue infettonon essendo obbligata ad effettuare ulteriori e costosi controlli sulle sacche di sangue fornite dal centro territoriale a ciò preposto. La responsabilità ricade piuttosto sul Ministro della Salute, a cui è imputabile la mancata predisposizione di tutto quanto necessario per rendere concrete le misure di prevenzione note a livello mondiale.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 3261 depositata il 19 febbraio 2016, pronunciandosi in ordine alla vicenda di una donna che aveva proposto domanda di risarcimento danni per aver contratto epatite C mediante trasfusioni di sangue, eseguite presso una casa di cura privata in occasione di un intervento chirurgico.

La ricorrente, in particolare, aveva chiamato in causa sia la struttura sanitaria ove era stata curata, sia il Ministero della sanità, i cui profili di responsabilità sono stati singolarmente esaminati dalla Suprema Corte.

Il Ministero della salute è responsabile

Quanto al Ministero della Salute – rispetto alle trasfusioni di sangue infetto nella specie avvenute nel 1989 e che pacificamente hanno causato la malattia– la Corte rileva l’omesso esercizio del dovere di direttiva, controllo e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico, volto a garantire l’utilizzazione di sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standard di esclusione dei rischi, quali conosciuti ed acquisti al più alto livello scientifico mondiale già a partire dal 1978, per via della raggiunta conoscenza della veicolazione dei virus (con esclusione della imprevedibilità ed esistenza della regolarità causale quanto al contagio). Ne deriva la responsabilità del Ministero ex art. 2043 c.c.

La casa di cura non è responsabile

Quanto alla casa di cura, la paziente lamentava il mancato riconoscimento, nei precedenti gradi di giudizio, della responsabilità contrattuale, sostenendo la ravvisabilità di un comportamento negligente e gravemente colpevole in ordine all'accaduto.

Attraverso la commentata censura, la Cassazione è dunque investita della seguente questione: se la casa di cura che ha effettuato le trasfusioni – utilizzando sacche di sangue provenienti dal servizio trasfusionale della Usl di competenza ed ivi sottoposte ai controlli preventivi richiesti dalla normativa all'epoca vigente – sia responsabile o meno per inadempimento contrattuale dell’obbligo di garantire che le trasfusioni siano eseguite con sangue non infetto, non avendo posto in essere quei controlli ulteriori, conosciuti al più alto livello scientifico mondiale e non ancora obbligatori sulla base della normativa vigente.

La risposta – secondo la Corte – non può che essere negativa.

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