Confermata la misura cautelare al padre che tratta per vendere la figlia

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La Quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 35923 del 6 ottobre 2010, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un padre avverso l'ordinanza con cui il Tribunale della Libertà di Trieste aveva disposto nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere a seguito dell'accusa di riduzione in schiavitù della figlia minore.

In particolare, a seguito delle intercettazioni disposte sulle utenze telefoniche dell'uomo erano state desunte delle trattative per la vendita della minore. L'uomo si era opposto alla misura sostenendo che fossero assenti le prove della riduzione in schiavitù della figlia; lo stesso, con riferimento alla somma asseritamente pattuita per la compravendita, aveva spiegato che si trattava esclusivamente di una somma a titolo di dote. 

Scusa, quest'ultima, ritenuta improponibile per la Cassazione la quale ha ricordato come, solitamente, per la costituzione della dote è la famiglia della ragazza a versare dei soldi o dei beni alla famiglia dello sposo e non viceversa.
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