Concorrenza sleale, lotta difficile

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Sono stati assolti, con formula piena, dalla Cassazione penale - sentenza n. 21305 del 21 maggio 2009 - i soci di un'accomandita semplice i quali, nonostante un'ordinanza del giudice di merito avesse inibito loro di “continuare attività di sviamento della clientela nei confronti di una società concorrente” non avevano cessato il comportamento scorretto. Secondo i giudici di legittimità, in particolare, occorre distinguere fra i casi nei quali l'imprenditore o l'ex agente hanno firmato un patto di non concorrenza, per cui non seguire l'ordine del giudice può integrare il reato di “mancata esecuzione dell'ordine del giudice” perché ciò che viene leso è un diritto di credito in senso stretto, e quelli per i quali, come nel caso di specie, non vi sia alcuna clausola di non concorrenza e quindi il non obbedire all'ordine del giudice non configura alcun reato perché la concorrenza sleale ha provocato dei danni che rientrano nella responsabilità extracontrattuale e quindi non si fondano su un diritto di credito già esistente. Così, se alla fine del giudizio l'impresa riesca a provare di essere stata danneggiata dalla concorrente la stessa potrà ottenere i danni ma non la condanna in sede penale dei vertici di quell'azienda.
Allegati Anche in
  • ItaliaOggi, p. 25 – Concorrenza sleale, lotta difficile – Alberici

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