Cassazione su canone a scaletta e in nero

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Cassazione su canone a scaletta e in nero

Si segnalano due interessanti decisioni della Terza sezione civile di Cassazione in materia di locazione, depositate entrambe l’11 ottobre 2016.

Canone a scaletta valido solo se “adegua”

Con la sentenza n. 20384/2016, in particolare, la Suprema corte ha ribadito i principi secondo cui, in materia di locazione di immobili adibiti ad uso commerciale, ogni pattuizione che abbia ad oggetto non già l'aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell'articolo 32 della Legge sull’equo canone, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ai sensi dell’articolo 79, comma 1, della stessa Legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto.

Il conduttore, in detto contesto, non può, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.

Inoltre, la clausola che prevede la determinazione del canone “a scaletta” è da ritenere valida solamente “a condizione che si tratti, non già di un vero e proprio “aumento”, bensì di un “adeguamento” del canone al mutato valore locativo dell'immobile volto a ripristinare il sinallagma originario”.

Questo, per evitare uno squilibrio a vantaggio del conduttore, altrimenti determinato dal canone fisso ovvero di una limitata e iniziale “riduzione” del canone convenuto, sempre che nell'uno, come nell'altro caso, tanto emerga da elementi obiettivi e predeterminati cui sia affidata “la scaletta” del canone.

Incassi aggiuntivi in nero da restituire

Con l’altra sentenza, la n. 20395/2016, gli Ermellini hanno invece confermato la statuizione di merito con cui il locatore di un immobile era stato condannato alla restituzione di quanto aveva indebitamente incassato a titolo di importi aggiuntivi rispetto al canone previsto nella scrittura privata originariamente sottoscritta con il conduttore.

I motivi dello specifico ricorso avanzato in sede di legittimità dal proprietario dell’immobile sono stati ritenuti inammissibili dalla Suprema corte in quanto volti a sostenere la tesi che le somme aggiuntive erano comunque dovute in quanto volute dalle parti per effetto di un accordo simulatorio verbale che non incideva sull’efficacia del contratto dissimulato, tesi, tuttavia, estranea all’oggetto originario della lite.

Tale posizione, infatti, – viene sottolineato nella decisione di legittimità – presuppone l’affermazione della unicità del contratto, unicità che, per contro, era stata espressamente esclusa sia nell’atto introduttivo che in quello di appello.

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