Bancarotta per distrazione e peculato: sì al concorso dei reati
Pubblicato il 20 aprile 2021
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Legittima la condanna per peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione in capo all’imprenditore che si appropria dei ricavi gestionali della società di cui ha disponibilità in ragione del suo incarico causandone il grave dissesto economico e, quindi, il fallimento. Il reato di autoriciclaggio è invece escluso in assenza di condotte prive di idoneità decettiva.
La Corte d’appello aveva confermato la condanna in capo all’amministratore unico di una Srl partecipata per i reati di peculato, bancarotta fraudolenta per distrazione, autoriciclaggio e bancarotta impropria.
All’imputato era stato contestato di essersi appropriato di oltre un milione di euro, avendo, per ragioni del suo incarico, la disponibilità di somme della società provenienti dai ricavi gestionali della stessa.
Questo mediante l’emissione a sé stesso di numerosi assegni bancari ed il mancato versamento delle somme di denaro contante derivanti dagli incassi.
Per la medesima condotta, gli era stato anche addebitato di aver distratto somme della società, causando un grave dissesto economico, sfociato nella sentenza dichiarativa di fallimento.
Egli era stato anche accusato di aver reimpiegato parte rilevante del denaro sottratto indebitamente, destinandolo al rimborso o all’estinzione di rate e di strumenti finanziari nonché, per finire, di avere, attraverso false comunicazioni sociali e, in particolare, attraverso falsi bilanci societari, cagionato il dissesto della società.
L’imprenditore si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione del principio del ne bis in idem nonché censurando la parte della decisione in cui gli era stata contestata la condotta di autoriciclaggio.
Con riferimento alle imputazioni per peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione, in particolare, aveva evidenziato come il fatto storico - individuato nei suoi elementi materiali di condotta, nesso causale ed evento - fosse lo stesso e per questo aveva dedotto la violazione del bis in idem fra i due reati, ossia del principio in forza del quale non si può essere puniti due volte per la stessa azione.
Rispetto alla seconda doglianza, la difesa del ricorrente lamentava che la Corte di gravame non avesse tenuto conto che parte delle somme indicate nell’imputazione erano state destinate al pagamento del corrispettivo delle opere di ristrutturazione dell’abitazione principale dell’imputato e, quindi, per un bene ad uso esclusivamente personale, escluso dall’ambito della punibilità della norma di cui all’art. 648 ter.1 c.p.
Cassazione: nessuna violazione del ne bis in idem
La Corte di cassazione, con sentenza n. 14402 del 16 aprile 2021, ha respinto il primo dei due motivi di ricorso sopra menzionati, accogliendo, per contro, l’altra doglianza relativa all’accusa di autoriciclaggio.
In primo luogo, gli Ermellini hanno ammesso la legittima configurabilità del concorso formale tra il delitto di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, precisando come si tratti di reati che si differenziano per struttura ed offensività.
Peculato e bancarotta fraudolenta per distrazione: reati diversi per struttura e offensività
Nel dettaglio, la Corte ha precisato come il peculato si differenzi rispetto alla bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione quanto:
- al soggetto attivo;
- all’interesse tutelato, nel senso che la bancarotta non assorbe ed esaurisce affatto l’offensività del peculato;
- per le modalità di aggressione al bene giuridico tutelato, nel senso che nel peculato, a differenza della bancarotta, non ogni condotta appropriativa assume rilievo;
- per la mancanza di una condizione di punibilità che, nel reato fallimentare, rende solo eventuale che la condotta appropriativa sfoci in bancarotta;
- al tempo in cui il reato si consuma, essendo il peculato un reato istantaneo rispetto al quale non rileva, a differenza della bancarotta, la riparazione.
Nel caso in esame, il potere di azione era stato esercitato una sola volta, nello stesso unico procedimento ma attraverso la contestazione di distinti reati, differenti – come detto - per struttura e offensività: non c’era stata, quindi, alcuna violazione del bis in idem.
Autoriciclaggio escluso in assenza di condotta dissimulatoria
La Cassazione, come detto, ha invece ritenuto fondato l’altro motivo sollevato dal ricorrente, con cui era stata censurata l’impostazione accusatoria secondo cui l’imputato, dopo aver commesso il peculato, aveva creato debito per ripulire e reimpiegare il denaro.
In particolare, in base al quadro riportato nell’imputazione, era stato ritenuto che il ricorrente avesse reimpiegato il denaro in attività finanziarie, in modo da commettere autoriciclaggio.
Il predetto ragionamento, secondo la Suprema corte, non poteva essere tuttavia condiviso: la condotta posta in essere dall’amministratore era stata, in realtà, priva di idoneità decettiva, dissimulatoria, ovvero di capacità di rendere difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa del bene.
Ed infatti, il denaro era stato prelevato dallo stesso conto su cui erano state versate le somme oggetto di peculato e riversate su conti personali dello stesso imputato, per poi essere corrisposte ai propri creditori.
Non vi era stata alcuna intestazione formale a terzi, nessun meccanismo decettivo, ma si era realizzata solo un’operazione che non dissimulava alcunché.
La sentenza, in definitiva, doveva essere annullata, senza rinvio, quanto al capo di imputazione per autoriciclaggio, “perché il fatto non sussiste”, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello in relazione alla rideterminazione della pena per i residui reati.
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