Agli ispettori del lavoro niente menzogne
Pubblicato il 21 maggio 2015
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Musica incalzante e luci che rimbalzano ritmiche e coinvolgenti negli occhi dei tanti ragazzi che affollano il locale in cui lavora Melissa, da tutti conosciuta come Melody, a causa della passione sfrenata per balli e suoni.
Ma stasera, tra i woofer che vibrano, un cocktail, un ammiccamento e una risata, una mezza dozzina di ispettori del lavoro hanno pagato il biglietto e sono entrati come fossero clienti nella più frequentata discoteca della zona. Hanno tentato di calarsi nel ruolo di frequentatori abituali.
Grazie alla mentalità ispettiva, non hanno trovato particolari difficoltà ad individuare tutte le tipologie di lavoratori operanti all’interno del locale: baristi, camerieri, ballerine, guardarobieri, addetti alla sicurezza, cassieri, dj e, soprattutto, Melody, immediatamente inquadrata come una sorta di “PR”, la vera organizzatrice delle serate.
Quando si sono qualificati mostrando la temuta tessera di riconoscimento, Melody ha mentito agli ispettori e ha negato di lavorare in nero; gli elementi istruttori in possesso dei funzionari ministeriali lo dimostrano in modo incontrovertibile. Perché la ragazza ha nascosto la verità? Forse per quello strano meccanismo psicologico che l’analista di turno definirebbe una sorte di Sindrome di Stoccolma in salsa “dance”: Melody ha costruito un legame emotivo con chi approfitta del suo entusiasmo e le ruba il futuro (il suo datore di lavoro). O forse, più probabilmente, la falsa testimonianza è attribuibile alla paura di non lavorare più.
Fatto sta che le affermazioni mendaci rese agli ispettori del lavoro producono delle conseguenze penali (art. 4 comma 7 della L. n. 628/61) e a nulla serve invocare che sono state rilasciate dichiarazioni in favore del datore di lavoro solo per il timore di perdere il posto (Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 16443 pubblicata il 20/04/2015).
Ecco perché Le avventure di Pinocchio si leggono da bambini: per avere il tempo di meditarle a fondo.
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