Troppe rinunce al compenso giustificano l'accertamento
Pubblicato il 15 marzo 2018
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La Cassazione, nell'ordinanza n. 6215 del 14 marzo 2018, si è trovata ad esaminare la legittimità dell'accertamento del Fisco nei confronti di un professionista che aveva reso un elevato numero di prestazioni gratuite nei confronti di terzi clienti, giustificando la gratuità con la “rinuncia al compenso”.
La Corte è d'accordo con i giudici di appello: la rinuncia diffusa e sistematica ai compensi per le prestazioni professionali, anche di non modico valore, rese innanzi al giudice di pace ed ai tribunali, civile e amministrativo, connota di gravità, precisione e concordanza, le presunzioni di maggiori redditi accertati induttivamente dall'amministrazione finanziaria (ex articolo 39, comma 2, dpr 600/1973), trattandosi di comportamento che, tenuto conto del numero esiguo delle fatture emesse e dell'esiguità del reddito dichiarato, confliggeva con le elementari regole di ragionevolezza, non superabile dalle dichiarazioni rese da alcuni clienti, in quanto prive di intrinseca credibilità.
La circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, di per sé sola, legittima l'adozione del metodo induttivo.
Non rileva che i professionisti dichiarino, comunque, compensi congrui e coerenti agli studi di settore.
Di più. Emerge che, al fine di effettuare controlli fiscali mirati, l’amministrazione finanziaria può controllare i contenziosi instaurati dinanzi al Tribunale, civile e amministrativo, anche di valore elevato, per confrontarli con le fatture emesse dal professionista.
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