Quale contratto collettivo applicare in caso di cessione di ramo di azienda?

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L’impresa Alfa cede ramo di azienda all’impresa Gamma, alla quale passano anche i rapporti di lavoro dei dipendenti occupati nel ramo ceduto. Il trasferimento viene preceduto dalla fase di consultazione sindacale, nel corso della quale tuttavia non vengono stabilite intese in ordine alla differenze dei trattamenti economici stipendiali applicati dalla cedente e dalla cessionaria. Il contratto collettivo aziendale dell’impresa Alfa prevede infatti dei trattamenti economici stipendiali migliori rispetto a quelli garantiti dall’impresa cessionaria. Tale disarmonia viene rilevata dai dipendenti trasferiti in occasione della consegna del primo prospetto paga e dal contestuale pagamento della retribuzione da parte dell’impresa Gamma. Di seguito i dipendenti si rivolgono ad un avvocato di fiducia che invoca il tempestivo intervento del personale ispettivo della DTL competente. Gli ispettori, all’esito delle verifiche, sostengono nel verbale che l’impresa cessionaria avrebbe dovuto applicare ai dipendenti trasferiti i trattamenti economici stipendiali previsti nel contratto collettivo aziendale applicato dal cedente e ciò fino al naturale esaurimento dell’accordo. Conseguentemente gli ispettori sanzionano i disvalori contenuti nel LUL e adottano le diffide accertative con importi pari alla differenza tra quanto effettivamente percepito dai lavoratori e quanto costoro avrebbero dovuto percepire in base alle disposizioni contenute nel contratto collettivo aziendale applicato da Alfa. È corretto l’operato degli ispettori? Come può difendersi Gamma?



Premessa

La tematica dell’outsourcing prosegue con l’analisi di ulteriori aspetti attinenti alla disciplina del trasferimento di azienda. Con il presente contributo in particolare ci occuperemo della disposizione di cui al comma 3 dell’art. 2112 c.c. inerente ai trattamenti economici e normativi applicabili ai rapporti di lavori passati al cessionario in conseguenza dell’atto traslativo, focalizzando altresì lo sguardo sugli effetti che una tale disposizione comporta nei confronti all’azione del personale ispettivo.


La continuità del rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda


L’effetto principale del trasferimento di azienda consiste nel garantire al lavoratore ceduto
la continuità, anche sotto il profilo previdenziale, del rapporto di lavoro. A tal fine l’art. 2112 comma 1 c.c. prevede che il lavoratore subordinato conserva tutti i diritti inerenti al rapporto di lavoro maturati presso il cedente al momento della cessione dell’azienda o del ramo di azienda. Dalla disposizione si deduce che l’atto di cessione non interrompe il rapporto di lavoro, il quale invero viene considerato un unico rapporto, che prosegue senza soluzione di continuità dal cedente al cessionario. In ragione di ciò si spiega la garanzia della conservazione delle posizioni soggettive correlate al rapporto, le quali, come ha precisato la giurisprudenza di legittimità, devono comunque avere assunto la natura di diritti soggettivi non essendo invece tutelate le “[…] mere aspettative o situazioni in fieri che potranno trasformarsi in diritti in tempi futuri”.

Contrattazione collettiva applicabile all’esito del trasferimento


Se ciò è vero per i diritti che sorgono dal contratto individuale di lavoro, non altrettanto può sostenersi a proposito delle posizioni che scaturiscono dal contratto collettivo il cui regime di applicabilità viene stabilito dall’art. 2112 comma 3 c.c. secondo cui “il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi vigenti alla data del trasferimento, fino alla scadenza, salvo che siano sostituti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario”.

Dalla lettura della disposizione si può agevolmente desumere che la contrattazione collettiva del cessionario non ha valenza retroattiva sicché al lavoratore, per effetto del passaggio, non spettano i trattamenti attribuiti ai dipendenti del cessionario in forza di fatti verificatesi in epoca antecedente al trasferimento.

Altra questione invece riguarda l’individuazione del criterio per stabilire quale contrattazione debba applicarsi ai rapporti di lavoro nel momento susseguente all’evento traslativo, in quanto la littera legis sul punto non è affatto chiara.

In altri termini ci si chiede se ai lavoratori trasferiti debba essere applicato in via alternativa:

  1. il contratto collettivo del cedente fino alla sua naturale scadenza;

  2. il contratto collettivo del cessionario e ciò sin dall’atto del passaggio del rapporto di lavoro;

  3. il contratto collettivo c.d. di ingresso stipulato in sede di esame congiunto dall’impresa con le organizzazioni sindacali in osservanza della proposizione normativa contenuta nell’art. 2112 comma 3 c.c. “altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario”. Tale contratto in sostanza avrebbe lo scopo di garantire un trattamento normativo ed economico graduato nel tempo fino a raggiungere la completa equiparazione con la disciplina prevista dalla contrattazione collettiva ordinaria applicata dal cessionario.

Ebbene la riguardo sussistono due diversi indirizzi esegetici.

L’indirizzo che ritiene applicabile, fino ad esaurimento, il contratto del cedente


Il primo orientamento, che fa leva su una lettura congiunta dei commi 1 e 3 dell’art. 2112 comma 3 c.c., ritiene che la disposizione abbia la finalità di evitare mutamenti repentini ai trattamenti economici e normativi applicati ai lavoratori trasferiti e che possono causare a costoro effetti “dirompenti” o comunque “traumatici”
. Sicché laddove la disciplina collettiva applicata dal cessionario sia peggiorativa rispetto al trattamento garantito dal cedente sarebbe più corretto evitare qualsivoglia automatismo di sorta facendo diluire nel tempo le disomogeneità intercorrenti tra lavoratori trasferiti e lavoratori già in forza al cessionario. Tale riallineamento verrebbe garantito dall’applicazione, fino ad esaurimento, del contratto collettivo del cedente o anche da un contratto collettivo c.d. di ingresso concluso in occasione della procedura di consultazione sindacale.

  1. La prassi del Ministero del Lavoro

L’assunto, sebbene non espresso in atti ufficiali, sembra che sia stato sposato dal Ministero del Lavoro il quale nel proprio sito istituzionale nell’illustrare i principi che governano il trasferimento di azienda, prevede che “il nuovo titolare deve continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, fino alla sua scadenza”.

L’indirizzo che ritiene applicabile immediatamente il contratto del cessionario


Altro indirizzo ritiene invece che, una volta perfezionato il trasferimento, il contratto collettivo del cedente possa applicarsi dal cessionario nella residuale ipotesi in cui quest’ultimo
non applichi alcuna contrattazione collettiva, poiché nella diversa ipotesi in cui l’impresa del cessionario applichi un contratto collettivo quest’ultimo può trovare immediata applicazione anche nei confronti dei lavoratori trasferiti. Tale sostituzione automatica opera solo rispetto ai contratti di rango equivalente e non per i negozi di livello differente, i quali possono pertanto sopravvivere all’evento del trasferimento. Appare utile evidenziare che tale regola è stata letta da una recente giurisprudenza di merito nel senso che “l'effetto sostitutivo si ha anche tra un contratto collettivo nazionale ed un contratto collettivo aziendale di primo livello che, svincolandosi dal CCNL di categoria, definisce ogni aspetto dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti con un'ampiezza ed esaustività del tutto simile a qualsiasi altro contratto nazionale”.

L’indirizzo ermeneutico che riconosce al cessionario la facoltà di procedere, avvenuto il trasferimento, alla sostituzione automatica del contratto applicato dal cedente con quello in essere presso la propria impresa, si basa sull’assunto che la locuzione normativa “contratti collettivi applicabili” contenuta nell’art. 2112 comma 3 c.c. debba intendersi riferita ai contratti collettivi che già trovano applicazione presso il cessionario al momento del trasferimento. Secondo tale prospettiva pertanto il termine “applicabili” andrebbe interpretato come “effettivamente applicati”, con la conseguenza che l’effettiva applicazione comporta l’automatica sostituzione, all’atto del trasferimento, del contratto collettivo del cedente con quello del cessionario.

  1. L’orientamento della giurisprudenza

La giurisprudenza di legittimità, in una fattispecie di fusione per incorporazione, soggetta al regime di cui all'art. 2112 c.c., ha accolto quest’ultimo indirizzo interpretativo osservando che per i “[…] lavoratori coinvolti resta efficace il contratto collettivo applicato dalla società incorporata solamente nel caso in cui la società incorporante non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell'incorporata è sostituita immediatamente da quella dell'incorporante anche se più sfavorevole”. Pertanto secondo tale orientamento, invero consolidato in ambito pretorio, la contrattazione collettiva successiva può applicare ai rapporti di lavoro dei dipendenti trasferiti trattamenti anche peggiorativi rispetto a quelli garantiti dal cedente, salvi ovviamente i diritti quesiti, se del caso maturati in forza della legge o della disciplina contenuta nel contratto individuale di lavoro.

Il sostegno prestato dal Ministero del Lavoro al primo indirizzo di fatto disatteso dall’orientamento unanime della giurisprudenza ha conseguenze rilevanti sul piano ispettivo, come risulta nel caso di specie.

Il caso concreto


L’impresa Alfa ha ceduto ramo di azienda all’impresa Gamma, alla quale sono passati anche i rapporti di lavoro dei dipendenti occupati nel ramo ceduto. Il trasferimento è stato preceduto dalla fase di consultazione sindacale nel corso della quale tuttavia non sono state stabilite intese in ordine alla differenze dei trattamenti economici stipendiali applicati dalla cedente e dalla cessionaria. Il contratto collettivo aziendale dell’impresa Alfa prevede infatti dei trattamenti economici stipendiali migliori rispetto a quelli garantiti dall’impresa cessionaria. Proprio tale disarmonia è stata rilevata dai dipendenti trasferiti in occasione della consegna del primo prospetto paga e dal contestuale pagamento della retribuzione da parte dell’impresa Gamma. In ragione di ciò i dipendenti si sono rivolti ad un avvocato di fiducia, che ha invocato il tempestivo intervento del personale ispettivo della DTL competente.

Le verifiche ispettive si sono concluse con un verbale nel quale gli ispettori hanno affermato che l’impresa cessionaria, all’esito del trasferimento, avrebbe dovuto applicare ai dipendenti trasferiti i trattamenti economici stipendiali previsti nel contratto collettivo aziendale applicato del cedente e ciò fino al naturale esaurimento dell’accordo. Conseguentemente gli ispettori hanno sanzionato i disvalori contenuti nel LUL di Gamma e hanno adottato nei confronti di quest’ultima e in favore dei dipendenti trasferiti atti di diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124/04 per importi pari alla differenza tra quanto effettivamente percepito dai lavoratori e quanto costoro avrebbero dovuto percepire in base alle disposizioni contenute nel contratto collettivo aziendale applicato da Alfa.

Ebbene, l’operato degli ispettori è aderente all’impostazione resa nota dal Ministero del Lavoro nel proprio sito istituzionale e pertanto si può ritenere istituzionalmente corretta. Non appare dubitabile sotto tale punto di vista che Gamma avrebbe dovuto garantire ai lavoratori trasferiti il medesimo trattamento economico stipendiale previsto dal contratto collettivo aziendale applicato dall’impresa Alfa. Tuttavia tale impostazione diverge dall’orientamento consolidato della giurisprudenza che riconosce al cessionario, in assenza di specifiche intese sindacali, la facoltà di sostituire al contratto collettivo applicato dal cedente quello di pari livello applicato nella propria impresa, ancorché quest’ultimo contempli trattamenti economici, anche di natura stipendiale, peggiorativi. Secondo tale prospettiva pertanto l’operato di Gamma, che, all’esito della cessione del ramo di azienda, ha corrisposto ai dipendenti trasferiti gli emolumenti mensili calcolati in base al proprio contratto collettivo aziendale, deve ritenersi conforme alle previsioni di cui ai commi 1 e 3 dell’art 2112 c.c..

Resta dunque in facoltà di Gamma contestare il verbale ispettivo in primis presentando scritti difensivi, ai sensi dell’art. 16 della L. n. 689/81, per rimuovere i provvedimenti sanzionatori applicati per asseriti disvalori contenuti nel LUL. In secondo luogo proponendo ricorso alla Direzione Regionale del Lavoro avverso le diffide accertative onde paralizzare l’eventuale azione esecutiva intenta dal lavoratore e conseguire comunque l’annullamento di questi ultimi provvedimenti.


NOTE

i Il cui consenso, come esposto nel caso pratico de "L'Ispezione del Lavoro", del 17 maggio 2013, "La cessione fittizia del ramo di azienda cela somministrazione irregolare di manodopera", non rileva ai fini della validità e dell’efficacia della cessione.

ii Ciò tuttavia non toglie che il cessionario debba comunque comunicare al Servizio per l’impiego competente l’avvenuta modificazione soggettiva del contratto. La comunicazione deve essere effettuata entro cinque gironi dall’evento modificativo.

iii Cass. civ. Sez. lavoro, 10/11/1999, n. 12492.

iv Il problema non si pone invece qualora la disciplina del cessionario sia migliorativa.

v Liebman “La disciplina collettiva applicabile ai lavoratori, in Trasferimento di ramo di azienda e rapporto di lavoro, 2004, 2 pp. 221.

vi http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/md/AreaLavoro/tutela/disciplina/trasferimentodazienda.htm.

vii Trib. Torino, 15/09/2011.

viii Cass. civ. Sez. lavoro, 18/05/2011, n. 10937.

ix Tra le tante cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 13/05/2011, n. 10614; Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 04-02-2008, n. 2609.

x Così nella materia della previdenza complementare. La disciplina collettiva successiva peggiorativa di quella precedente non può incidere sulla posizione di coloro che hanno maturato i requisiti per accedere al sistema di previdenza complementare ed hanno esercitato il relativo diritto conseguendo il trattamento pensionistico. Del pari la disciplina collettiva successiva peggiorativa non può incidere neppure sulla posizione di coloro che non hanno ancora esercitato il relativo diritto, ma comunque hanno maturato i requisiti relativi. Invece coloro che non hanno maturato i requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico non possono accampare diritti quesiti così che non può escludersi un intervento anche peggiorativo da parte della contrattazione collettiva successiva.

xi Va qui richiamato il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma (salva l’ipotesi di loro ricezione ad opera del contratto individuale) operano dall’esterno sui singoli rapporti di lavoro e, come fonte eteronoma di regolamento, nell’ipotesi di successione di contratti collettivi non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio di trattamento più favorevole ex art. 2077 c.c., norma quest’ultima che riguarda il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale. Cfr. Cass. n. 16635/2003, n. 16691/2004, n. 21234/2007. Il medesimo principio regolatore trova applicazione in materia di usi aziendali, anch’essi, secondo la Corte di Cassazione, al pari dei contratti collettivi, fonti eteronome di regolamento dei rapporti individuali di lavoro. In altre parole considerato che l’uso aziendale agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali e a quelle collettive in vigore quelle più favorevoli dell’uso aziendale, ne seguirebbe che il diritto riconosciuto dall’uso aziendale non potrebbe sopravvivere al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di azienda. L’uso infatti operando come una contrattazione integrativa aziendale subirebbe la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non sarebbe più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria contrattazione integrativa. In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 11-03-2010, n. 5882.

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