Procuratori e institori dell’imprenditore tra autonomia e subordinazione

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Gli ispettori della DTL sottopongono a una verifica ispettiva l’impresa Gamma avente un organico aziendale di 20 dipendenti. In sede di acquisizione d’informazioni, i lavoratori dichiarano che il proprio datore di lavoro è il sig. Tizio e che quest’ultimo procede a un controllo costante sulle prestazioni lavorative. Gli ispettori verificano che Tizio non risulta iscritto in visura camerale e chiedono all’impresa di giustificare la relazione intercorrente con Tizio. L’impresa Gamma documenta il proprio rapporto con Tizio esibendo agli ispettori procura notarile speciale, conferente a Tizio ampi poteri gestori e di rappresentanza. Tale procura risulta non iscritta nel registro delle imprese. Che direzione possono assumere le verifiche e cosa è aspettabile attendersi dagli ispettori?



Gli ausiliari dell’imprenditore

Sono definiti “ausiliari dell’imprenditore” coloro che collaborano, in maniera autonoma o subordinata, all'attività giuridica dell'imprenditore.

Nell’ipotesi in cui tale attività venga espletata in regime di subordinazione, i collaboratori vengono denominati “ausiliari interni”, poiché fanno parte dell'organizzazione aziendale e sono legati all’imprenditore da un rapporto di dipendenza tecnico-funzionale.

Diversamente assumono la qualifica di “ausiliari esterni”, laddove l’attività collaborativa venga svolta, in modo occasionale o stabile, sulla base di rapporti contrattuali di natura autonoma (es. mandato, collaborazione, commissione, spedizione, agenzia, mediazione).

Gli ausiliari previsti e regolati dal codice civile sono l’institore, il procuratore e il commesso.

La qualificazione delle varie figure risponde al principio di effettività, nel senso che si misura non sulla base di formali atti di investitura, ma in ragione dell’ampiezza dei poteri di gestione e di rappresentanza, parametrati dalle norme dedicate a ciascun collaboratore.

L’institore


Secondo l’art. 2203 c.c. è institore "colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale". La preposizione institoria si caratterizza, dunque, per l’ampiezza dei poteri rappresentativi e di gestione, che fanno dell’institore un alter ego dell'imprenditore (es. direttore generale ovvero direttore di sede principale o secondaria o di un autonomo ramo aziendale).

Il procuratore


Diversa invece è la posizione del procuratore il quale, ai sensi dell’art. 2209, è colui che in base a un rapporto continuativo ha il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio di un'impresa, pur non essendo a questa preposto. Il procuratore, pur non essendo collocato in posizione apicale nella struttura organizzativa dell’impresa, appare comunque munito di un’autonomia decisionale in ordine all’esecuzione delle direttive generali deliberate dai sovraordinati organismi imprenditoriali (es. direttore di reparto).

Il commesso


Per quanto riguarda infine la posizione del commesso, in base alla disposizione di cui all’art. 2210 c.c., quest’ultimo collabora all’esercizio dell’impresa in maniera prevalentemente esecutiva, in quanto destinatario di mansioni di carattere operativo o materiali (es. commesso di negozio).

Il potere di rappresentanza degli “ausiliari interni”


Ciò premesso, gli ausiliari interni, per effetto della qualifica rivestita (quindi indipendentemente dal conferimento di procura), sono titolari di un potere di rappresentanza commisurato, quanto alla sua ampiezza, alle mansioni loro affidate dall'imprenditore. Il rapporto di collaborazione in seno alla struttura aziendale trae senz’altro origine da un atto negoziale, nella specie un contratto di lavoro dipendente al quale la legge attribuisce il potere di rappresentanza e cioè di agire in nome e per conto dell’imprenditore rappresentato. L’ampiezza dei poteri che contrassegna le diverse figure è questione che va analizzata in ragione della specifica organizzazione imprenditoriale e che pertanto postula un esame caso per caso. È comunque fatto salvo il potere dell’imprenditore di limitare (ma non escludere) la sfera rappresentativa dei propri ausiliari. In tal caso, come sopra accennato, occorre che la limitazione sia debitamente iscritta nel registro delle imprese, giacché altrimenti la rappresentanza, ai sensi dell’art. 2206 comma II, si presume generale, a meno che l’imprenditore dimostri che i terzi erano comunque a conoscenza delle suddette limitazioni.

Il potere di rappresentanza degli “ausiliari esterni”


Nella seconda ipotesi, che riguarda gli ausiliari esterni, questi sono legati all’imprenditore da rapporti di lavoro di natura autonoma e pertanto non sono investiti ex lege da poteri di rappresentanza. Sicché la legittimazione di costoro ad agire, oltre che per conto, anche e soprattutto in nome dell’imprenditore, sussiste solo se quest’ultimo ha conferito ai propri collaboratori apposita procura “ad negotia, ai sensi dell’art. 1392 c.c. Occorre, cioè, un’ulteriore e specifica dichiarazione di volontà dell'imprenditore, che vale ad investire il collaboratore di fronte ai terzi del potere di agire per conto e in nome dell'interessato. Tale atto, in sostanza, autorizza gli ausiliari alla contemplatio domini, cioè alla spendita del nome dell’imprenditore di fronte ai terzi, di modo che gli effetti dell’atto compiuto si producano esclusivamente nella sfera giuridica del rappresentato. In assenza di procura, l’atto posto in essere dall’ausiliare non esplica effetti nei confronti dell’imprenditore e cioè non impegna quest’ultimo e il terzo, salva l’applicazione della regola dell’affidamento incolpevole, potrà eventualmente avanzare richiesta risarcitoria nei confronti dell’ausiliare carente di procura (falsus procurator).

Forma, pubblicità e
contenuto della procura

a)
Forma

Ai sensi dell'art. 1392 c.c., la procura deve essere conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante dovrà concludere, pena la nullità della stessa. Ne segue che ove l’atto da concludere non richieda la forma scritta la procura può essere conferita all’ausiliare anche oralmente. Ciò tuttavia può ingenerare rischi nei confronti del terzo che potrebbe essere inconsapevole circa la sussistenza o meno dei poteri rappresentativi in capo al contraente.

b
) Pubblicità

Al fine di ridurre tali rischi l’ordinamento ha previsto un sistema di pubblicità dichiarativa valevole per i collaboratori interni ed esterni. L’art. 2196 c.c. dispone che ogni imprenditore che esercita un’attività commerciale deve chiedere, entro 30 giorni dall’inizio dell’impresa, la propria iscrizione nel registro delle imprese, indicando, tra l’altro, le generalità degli eventuali institori e procuratori. Per gli institori l’obbligo d’iscrizione viene stabilito anche dall’art. 2205 c.c. Si tratta di pubblicità dichiarativa, nel senso che la mancanza d’iscrizione non invalida la nomina, ma, ai sensi dell’art. 2193 c.c., rende la stessa inefficace ai terzi, ai quali non saranno opponibili eventuali limitazioni al potere di rappresentanza, fatta salva comunque l’applicazione di sanzione da parte della Camera di Commercio ai sensi dell’art. 2194 c.c..

c
) Contenuto

Per quanto riguarda i contenuti della procura, questa viene definita generale se attiene a tutti gli affari del rappresentato e comprende di regola la facoltà di compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Diversamente la procura è qualificata speciale quando ha per oggetto uno o più affari determinati. La preposizione institoria postula di per sé una procura generale. Diversamente il procuratore espleta il proprio incarico generalmente in forza di una procura speciale.

Problemi di qualificazione ricorrono allorché vi sia una differenza tra il nome dato alla procura e il concreto contenuto della stessa. In altri termini, tale discrasia si verifica quando non c’è corrispondenza tra nomen iuris e contenuto del negozio, nel senso che la procura, sebbene definita generale, presenta il contenuto tipico di quella speciale, perché limitata ad alcuni affari. Oppure, in senso opposto, la procura, quantunque rubricata speciale, ha per oggetto poteri gestori e di rappresentanza alquanto estesi. Sul punto la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la volontà delle parti rivolta alla qualificazione del negozio non è determinante, poiché ciò che rileva è il contenuto dell’atto e gli elementi che ne caratterizzano la tipologia. Testualmente: “in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi: la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti […] la seconda è quella della qualificazione che procede secondo il modello della sussunzione, cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma per verificare se la prima corrisponde al secondo. Questa seconda fase comporta applicazione di norme giuridiche […]”. In tale fase è decisivo sottolineare, con le stesse parole espresse dalla S.C., che l’interprete “[…] non è vincolato dal "nomen juris" adoperato dalle parti, ma può correggere la loro autoqualificazione quando riscontri che non corrisponde alla sostanza del contratto come da esse voluto”.

I
criteri per l’individuazione del regime subordinato o autonomo degli ausiliari dell’imprenditore

Occorre ora esaminare i criteri in base ai quali stabilire se l’apporto collaborativo dell’ausiliare sia prestato in regime di subordinazione o di autonomia. E infatti tale distinzione assume decisiva rilevanza in sede ispettiva, in quanto occorre analizzare se siano stati rispettati gli obblighi che rendono conoscibile, da un punto di vista amministrativo, il rapporto di lavoro dell’ausiliare.

Gli ausiliari interni, in quanto lavoratori subordinati dell’imprenditore, soggiacciono alla disciplina prevista in materia di comunicazione preventiva di assunzione, la cui mancanza determina, unitamente al mancato assolvimento degli obblighi contributivi, l’applicazione delle sanzioni previste in materia di lavoro nero, essendo a tale fine irrilevante l’iscrizione della nomina della procura presso il registro delle imprese.

Diversamente per gli ausiliari esterni, considerata l’autonomia della loro posizione lavorativa, l’obbligo di comunicazione preventiva del rapporto sussiste solo qualora abbiano concluso con l’imprenditore un rapporto di parasubordinazione (es. lavoro a progetto) o comunque diverso dal modello di cui all’art. 2222 c.c.. In ogni caso, e ferma la genuinità del rapporto, va da sé che anche nell’ipotesi in cui la comunicazione non fosse stata effettuata si esclude l’applicazione della maxisanzione per lavoro nero, circoscritta ai soli lavoratori subordinati.

Sul punto occorre subito precisare che sussiste una netta differenziazione tra prassi e giurisprudenza.

La prassi amministrativa


La prassi amministrativa è tutt’altro che univoca nell’individuazione dei criteri per l’accertamento della subordinazione, atteso che risultano sostanziali discrasie tra il Ministero del Lavoro da un lato e gli Enti previdenziali e assicurativi dall’altro.

a)
La prassi del Ministero del lavoro

Quanto alla prassi ministeriale viene in gioco la circolare n. 38 del 2010, che detta un criterio sostanzialmente residuale, nel senso che esclude la subordinazione qualora l’esito degli accertamenti, condotto in via prevalentemente documentale, dimostri che il rapporto è stato genuinamente instaurato nelle forme del lavoro parasubordinato o autonomo. Così per i rapporti di parasubordinazione la verifica si appunta sulla regolare redazione e attuazione di un contratto di collaborazione anche a progetto. Quanto al lavoro autonomo 2222 c.c., la genuinità del rapporto verrebbe corroborata dall’esistenza d’idonea documentazione consistente nell’iscrizione alla Camera di Commercio, nel possesso di partita iva e in valida documentazione fiscale formata precedentemente all’accertamento.

Molte sono state le critiche sollevate alla circolare, la quale tuttavia non è stata né rimossa né rivisitata ufficialmente dall’organo apicale, con la conseguenza che allo stato attuale resta ancora un atto vincolante per il personale ispettivo.

Una ragionevole lettura dell’atto porta comunque gli scriventi a ritenere che, atteso l’obbligo d’iscrizione previsto dall’art. 2196 c.c. e considerata altresì la natura neutra che contrassegna l’apporto collaborativo dell’ausiliare in seno all’impresa, la sola iscrizione presso la Camera di Commercio non può valere quale criterio per determinare l’autonomia del rapporto di lavoro. Diversamente opinando sarebbe sufficiente per l’imprenditore rispettare l’obbligo di cui all’art. 2196 c.c. per occultare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, eludendo così la normativa in materia di comunicazione preventiva e di adempimento degli obblighi contributivi.

b) L
a prassi dell’INPS e dell’INAIL

Diverso, e più aderente ai criteri di logica e diritto, è l’indirizzo seguito dall’INPS e dall’INAIL, i quali ritengono sostanzialmente che la subordinazione postula un accertamento concreto del vincolo di dipendenza tecnico-funzionale del lavoratore al datore di lavoro. In tal senso gli Istituti si uniformano all’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza formatasi in materia.

c) L
a giurisprudenza

Costituisce ormai ius receptum la regola per cui la qualificazione come autonoma o subordinata dell’attività prestata dal lavoratore passa attraverso l’accertamento delle concrete modalità di espletamento della prestazione lavorativa, tenendo in considerazione che la subordinazione postula la soggezione del lavoratore all'altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare.

La regola è stata così applicata anche agli ausiliari dell’imprenditore osservando che “in tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, il conferimento, da parte di un amministratore di società, di una procura ad un soggetto, il quale in forza della stessa opera in posizione institoria, non implica necessariamente l'insorgenza di un rapporto di lavoro subordinato, atteso che la procura può essere conferita in base ad un rapporto di varia natura (mandato, lavoro subordinato, agenzia) e che il controllo sull'attività del procuratore stesso da parte della società non rivela di per sè la sussistenza del vincolo della subordinazione che invece va ricercato specificamente in un rapporto di supremazia gerarchica estrinsecantesi, non già nel semplice controllo, ma in sistematiche direttive dell'imprenditore”.

Conclusioni


Pare pertanto evidente che aderire alla prassi ministeriale o all’indirizzo seguito dall’INPS e dall’INAIL
comporta conclusioni del tutto divergenti. E infatti se al personale ispettivo della DTL potrebbe risultare sufficiente, ai fini dell’indagine sulla natura del rapporto, eseguire una verifica di carattere meramente documentale centrata sull’esistenza o meno d’idonei atti fiscali, diverso discorso invece vale per il personale ispettivo dell’INAIL e dell’INPS. L’osservanza delle circolari dettate dai rispettivi Istituti obbliga infatti il personale ispettivo di siffatti Enti a eseguire verifiche concrete circa la natura interna o esterna della collaborazione prestata dall’ausiliare all’imprenditore. La divergenza assume contenuti dirimenti in sede di ricorso avverso l’eventuale verbale redatto dagli ispettori e ciò costituisce la premessa all’esame del caso concreto.

Il caso concreto


Risulta che gli ispettori della DTL hanno sottoposto a verifica l’impresa Gamma avente un organico aziendale di 20 dipendenti. Questi ultimi, in sede di acquisizione d’informazioni, hanno dichiarato che il proprio datore di lavoro è Tizio e che quest’ultimo infatti procede a un controllo costante sulle prestazioni lavorative. Gli ispettori hanno però appurato che Tizio non risulta iscritto in visura camerale e hanno chiesto all’impresa Gamma di giustificare la relazione intercorrente con Tizio. L’impresa Gamma ha documentato il proprio rapporto con Tizio esibendo agli ispettori procura notarile speciale, conferente a Tizio ampi poteri gestori e di rappresentanza. Agli atti è poi emerso che la procura non è stata iscritta nel registro delle imprese. Il primo nodo da sciogliere riguarda la qualificazione della procura che, sebbene definita speciale, risulta avere un contenuto assai ampio.

Dal contenuto dell’atto si evince la legittimazione di Tizio a esercitare, in nome e per conto di Gamma, poteri di gestione estesi fino alla determinazione delle stesse politiche aziendali. A conferma di ciò i dipendenti di Gamma hanno identificato Tizio come datore di lavoro, cioè come l’unico responsabile dell’attività aziendale sottoposta al suo costante controllo. Sicché, considerata la prevalenza accordata al contenuto rispetto al nomen dell’atto, tenuto conto che tale procura non è stata iscritta nel registro delle imprese e che per effetto della disposizione di cui all’art. 2206 c.c. la stessa deve comunque presumersi di contenuto generale e considerate ancora le normali dimensioni occupazionali di Gamma che ne fanno un’impresa di struttura medio-piccola, deve ritenersi che tale procura attribuisca a Tizio una carica institoria. Ne consegue che la posizione di Tizio è comunque sottoposta ad obbligo di registrazione ai sensi dell’art. 2205 c.c.. L’inosservanza dell’obbligo è sanzionabile dalla Camera di Commercio alla quale appare presumibile ritenere che gli ispettori inviino apposita informativa.

Per quanto riguarda invece la natura del rapporto di lavoro, può sostenersi che gli ispettori della DTL applichino le istruzioni diramate con Circolare n. 38 del 2010 dal Ministero del Lavoro. In ragione di ciò, e atteso che Gamma non ha prodotto contratti parasubordinati o autonomi stipulati con Tizio, la verifica degli ispettori si appunterà sull’eventuale possesso, da parte Tizio, d’idonea documentazione fiscale recante data anteriore all’accertamento. Laddove Tizio risulti titolare di partita iva o di altra documentazione equipollente, ciò potrebbe indurre gli ispettori a considerare concluso l’accertamento nel senso dell’autonomia del rapporto.

Diversamente, in mancanza di tali atti, il personale ispettivo dovrebbe optare per la qualifica subordinata della prestazione, che, resa in assenza di preventiva comunicazione e assolvimento degli obblighi contributivi, la rende assoggettata al regime della maxisanzione per lavoro nero. Esigenze di opportunità, semmai, suggeriranno agli ispettori di corroborare tale tecnica di verifica con puntuali dichiarazioni che scongiurino in concreto tali conclusioni e mettano il verbale al riparo da eventuali contestazioni amministrative o giudiziali.

Discorso differente ove l’accertamento venga condotto dal personale ispettivo dell’INPS o dell’INAIL, giacché per questi ultimi gli atti vincolanti sono tuttora rappresentati rispettivamente dalle circolari n. 179/89 e n. 36/11.

Sicché tale distonia può irradiarsi e assumere valenza significativa in fase di contestazione del verbale ispettivo.

La fase di contestazione del verbale


E infatti appare lecito domandarsi quale sia il criterio che guidi la decisione del Comitato Regionale dei Rapporti di Lavoro di cui all’art. 17 del D.lgs. n. 124/04 laddove venga presentato ricorso avverso un verbale ispettivo che contenga la qualificazione del rapporto di lavoro secondo le modalità documentali sopra dette e che sia carente pertanto di ulteriori accertamenti circa le modalità fattuali di svolgimento del rapporto.

E invero, se sul piano giudiziario, a fronte dell’univoco orientamento giurisprudenziale sopra citato, la qualificazione subordinata del rapporto basata sull’assenza d’idonea documentazione fiscale appare difficilmente sostenibile, discorso differente (se si vuole anche paradossalmente) va fatto ove il ricorrente prediliga la contestazione amministrativa. Infatti il Comitato Regionale dei Rapporti di lavoro, al pari del personale ispettivo, è vincolato al rispetto sia delle circolari sia degli interpelli.

In altri termini, attesa la composizione dell’organo decidente, ci si chiede quale atto debba essere applicato in quella sede ai fini della decisione: la Circolare n. 38 del 2010 del Ministero del Lavoro o le Circolari n. 179/89 e n. 36/11 rispettivamente dell’INPS e dell’INAIL e che risultano conformi all’orientamento giurisprudenziale?

Allo stato attuale non risultano provvedimenti emanati in materia e solo il tempo darà le relative risposte.


NOTE

i Cass. civ. Sez. lavoro, 13/09/1997, n. 9131; Cass. civ. Sez. II, 19/02/1993, n. 2020; Cass. civ. Sez. I, 18/10/1991, n. 11039.

ii Trattasi in sostanza di pubblicità dichiarativa.

iii Si è consapevoli che la tematica richiederebbe un maggiore approfondimento, il quale tuttavia, anche per esigenze espositive, esula dalle finalità della presente esposizione. Sicché si rinvia il lettore alla trattazione manualistica della materia, limitandosi a osservare che può accadere che il terzo contraente creda, in perfetta buona fede, di trattare con una persona munita dei poteri di rappresentanza, mentre tratta con un falsus procurator, ossia con persona priva di poteri di rappresentanza o che abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitole. A tale riguardo, è stato puntualmente osservato che un simile rischio è, sempre secondo i principi generali, addossato al terzo contraente: per l'art. 1396 c.c., il contratto del falsus procurator non vincola il rappresentato, quantunque il terzo avesse confidato, senza colpa, nell'esistenza dei poteri rappresentativi. Per l’applicazione del principio cfr. Cass. civ. Sez. II, 19/02/1993, n. 2020.

iv La procura institoria non richiede forme solenni. Al riguardo resta fermo l’insegnamento della Suprema Corte per cui “la norma dell'art. 2204 c.c. va intesa nel senso che il fondamento della rappresentanza institoria deve ricercarsi nel fatto della preposizione dell'institore all'esercizio di un'impresa commerciale e, pertanto, affinché all'institore sia riconosciuto il relativo potere, non si richiede il ricorso all'atto scritto, il quale diventa necessario solo per apportare modificazioni al contenuto legale tipico di tale rappresentanza, poiché queste, solo se iscritte nel registro delle imprese, possono essere opposte ai terzi (a meno che contro i medesimi non se ne provi la preesistente conoscenza). Per conseguenza, in presenza di una rappresentanza institoria derivante da una preposizione effettuata senza atto scritto e non modificata per iscritto, devesi ritenere che l'attività svolta dall'institore - sempre che questi abbia compiuto atti pertinenti all'esercizio dell'impresa - sia senz'altro idonea a produrre effetti nella sfera giuridica del preponente, salvo il caso di alienazione di immobili o costituzione di ipoteca sugli stessi, che richiedere espressa autorizzazione” (cfr. Cass. civ., 09/04/1969, n. 1120). La giurisprudenza successiva non ha modificato indirizzo: cfr. Cass. civ. Sez. II, 19/02/1993, n. 2020; Cass. civ. Sez. lavoro, 27/02/2003, n. 3022.

v La giurisprudenza di merito ha osservato che “l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese di una procura commerciale prescinde dalla valutazione del contenuto della stessa, in quanto esclusivamente finalizzato a garantire ai terzi la pubblicità in ordine ai poteri del rappresentante dell'imprenditore. Tale obbligo di iscrizione grava altresì sul piccolo imprenditore che, in base alla disciplina attuativa del registro delle imprese, va soggetto al regime pubblicitario delle sezioni speciali del medesimo registro, con conseguente applicazione estensiva di tutte le norme del codice civile inerenti l'attuazione della pubblicità” (cfr. Trib. Varese, 15/10/1998).

vi Cfr. Cass. civ. Sez. III, 22/06/2005, n. 13399, e ancora Cass. civ. Sez. III, 11/02/2005, n. 2852; Cass. civ. Sez. III, 09/04/2003, n. 5584, dello stesso tenore la giurisprudenza di merito: App. Roma Sez. lavoro, 08/09/2005; App. Firenze, 22/01/2004.

vii In tale senso si è espresso il Tribunale di Caltanissetta che, richiamando l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, ha stabilito che la procura institoria è un negozio “neutro” che nulla può dire sulla configurabilità o meno di un rapporto di lavoro subordinato. Cfr. Tribunale Caltanissetta, sez. lavoro, sentenza 16.06.2011 in: http://www.altalex.com/index.php?idnot=14752

viii Anche recentemente cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 05/03/2012, n. 3418; Cass. civ. Sez. lavoro, 12/01/2012, n. 248; Cass. civ. Sez. lavoro, 27/02/2007, n. 4500.

ix Cass. civ., 07/04/1987, n. 3402; Cass. civ. Sez. lavoro, 27/02/2003, n. 3022; Cass. civ. Sez. lavoro, 19/02/1997, n. 1526; Cass. civ. Sez. lavoro, 14/12/1996, n. 11178; Cass. civ. Sez. lavoro, 23/11/1996, n. 10386; Trib. Milano, 31/05/1996.


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