Maglie strette sugli oneri

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Il recente intervento della Finanziaria 2008 sulle spese di rappresentanza, che ha fissato una limitazione alla deduzione delle spese alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande, ha fatto sorgere alcuni dubbi in merito al concetto di inerenza. Quest’ultimo, infatti, risulta essere in balia delle norme, della prassi e della giurisprudenza. L’Amministrazione finanziaria limita la deducibilità al 75% delle spese – a partire dal 2009 – al dettato dell’articolo 109, comma 5, del Tuir. Come precisato con la circolare n. 53/E/2008, però, il limite del 75% non deroga agli ordinari criteri di inerenza che presiedono alla determinazione del reddito d’impresa, ma rappresentano il limite massimo di deducibilità delle spese in esame. Ciò potrebbe significare che, data l’inerenza stabilita dall’articolo 109 del Tuir, le spese sono deducibili nella misura del 75% anche se si dovrà tener conto dei vincoli che potrebbero essere introdotti dall’emanando decreto ministeriale sulle spese di rappresentanza. Sull’argomento, occorre ricordare che per quanto riguarda la disciplina Iva, il principio di inerenza è fissato dall’articolo 19, comma 1, del Dpr 633/72, secondo cui è ammessa in detrazione l’imposta assolta o addebitata in relazione ai beni e servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Viene richiesto cioè un collegamento con l’attività economica esercitata o da esercitarsi dal contribuente. Tuttavia, il concetto così ampio di inerenza viene ridimensionato dai successivi commi 2 e 4 dello stesso articolo 19, in base ai quali non risulta detraibile l’imposta relativa agli acquisti afferenti operazioni esenti o non soggette oppure impiegati per finalità non imprenditoriali. Per quanto riguarda il reddito d’impresa, a differenza di quanto affermato da un documento della Dre Friuli Venezia Giulia del 18 marzo 2008, che ricerca un nesso causale spese-ricavi, esiste un principio di inerenza che non può essere individuato nell’articolo 109, comma 5, del Tuir. L’inerenza è da ritenersi, infatti, un principio generale insito nella determinazione dello stesso reddito. Si tratta di una regola secondo la quale vi deve essere un collegamento tra un componente economico e l’attività esercitata, o da esercitarsi, da parte dell’imprenditore. Il collegamento è, quindi, con l’attività economica, anche futura, e non con la qualifica di imprenditore.

Riguardo all’argomento citato, un aspetto particolarmente delicato è quello su chi deve ricadere la prova dell’inerenza. La giurisprudenza (Cassazione sentenza n. 1421 del 23 gennaio 2008 e sentenza n. 6939 del 14 marzo 2008) più volte ha affermato che ricade sul contribuente l’onere di provare che il componente negativo che si vuole portare in deduzione dal reddito risulta inerente all’attività. Lo stesso principio vale anche per l’Iva, in relazione agli acquisti per i quali viene addebitata o assolta l’imposta. La tesi però non si presta alle disposizioni in materia di accertamento, per le quali sorgono dei dubbi circa la possibilità di accettare che gli uffici possano disconoscere la deduzione di un componente negativo di reddito solo per la mancata prova dell’inerenza da parte del contribuente. Mentre può essere considerato corretto il principio dell’onere dimostrativo del contribuente in casi di oneri deducibili o detraibili dal reddito complessivo.

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