L’Iva “salta” la sede all’estero

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di giustizia Ue nella sentenza 23 marzo 2006, causa C-210/04 che vedeva opposto lo Stato italiano alla stabile organizzazione nel nostro Paese di una banca inglese, ha respinto le contestazioni del Fisco nazionale che voleva imporre alla filiale in Italia della banca straniera di essere considerata un soggetto passivo ai fini Iva. I giudici europei, contrariamente alle convinzioni del Fisco, hanno affermato il principio in base al quale un “centro di attività stabile” che non gode di indipendenza economica dalla casa madre (vedi il caso delle succursali che non dispongono di un fondo di dotazione così che il rischio connesso all’attività economica grava per intero sulla casa madre), non può essere considerato un soggetto autonomo ma costituisce con esso un soggetto passivo unico. Pertanto, eventuali costi in materia di consulenza, gestione, formazione del personale, trattamento di dati, fornitura e gestione di servizi software che vengono addebitati dalla casa madre inglese ad una sua filiale in Italia, non possono considerarsi acquisti effettuati da un soggetto passivo distinto e, quindi, non possono essere assoggettati ad Iva. ha voluto ribadire ai sensi dell’articolo 2 della sesta direttiva, che la società ospite in Italia essendo un centro stabile privo di indipendenza economica, cioè non svolgendo una attività economica indipendente dalla casa madre, non può considerarsi un soggetto passivo distinto e, pertanto, non può parlarsi di prestazione di servizi rese tra due soggetti diversi.   

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