Il reato di sfruttamento del lavoro o meglio del lavoratore

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Il reato di sfruttamento del lavoro o meglio del lavoratore

La formulazione originaria dell’art. 603 bis

L’art. 603 bis c.p. viene annoverato tra i delitti contro la personalità individuale. Il bene giuridico tutelato è quindi la dignità umana.
Nella formulazione originaria l’art. 603 bis c.p. contemplava tra gli autori del reato esclusivamente il c.d. “caporale”, vale a dire colui che ricopriva il ruolo di intermediario nel reclutamento della manodopera. La fattispecie non conteneva alcun riferimento al diretto utilizzatore della manodopera, con la conseguenza che il datore di lavoro sostanziale poteva essere incriminato solo ricorrendo alla previsione del concorso di persone nel reato di cui all’art. 110 c.p. con tutte le difficoltà del caso.
In sostanza, il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro era costruito sulla sussistenza concomitante di tre elementi:

  1. attività di sfruttamento organizzata per l’intermediazione e per il reclutamento di manodopera. Al riguardo la giurisprudenza aveva statuito che l’attività organizzata non richiedesse necessariamente la forma associativa ma dovesse svolgersi in modo non occasionale, bensì attraverso una strutturazione dei mezzi utilizzati al fine delittuoso (cfr. Cass. pen. Sez. V, 23/11/2016, n. 6788);
  2. condotta di violenza minaccia o intimidazione perpetrata in danno ai lavoratori;
  3. lo sfruttamento e l’approfittamento dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori. Per la dimostrazione dello sfruttamento del lavoratore era richiesta la “sistematica” violazione degli indici probatori descritti dalla norma nei nn. 1,2,3 e 4.

La giurisprudenza aveva costruito il rapporto tra il reato de quo e le fattispecie di somministrazione illecita e fraudolenta rispettivamente previste dall’art. 18 e 28 del D.lgs. n. 276/03 in termini graduali all’offesa arrecata al bene tutelato. In tale prospettiva la violazione delle regole relative all’accesso e alla selezione del mercato risultava punita dalle previsioni contenute nel D.lgs. n. 276 cit.. Qualora la condotta avesse assunto connotati di maggiore gravità, in quanto caratterizzata dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, avrebbe trovato applicazione la previsione di cui all’art. 603 bis. c.p. (cfr. Cass. pen. Sez. V, 18/12/2015, n. 16737; Cass. pen. Sez. V, 04/02/2014, n. 14591).

La L. n. 199/2016 di modifica dell’art. 603 bis c.p.

La L. 29 ottobre 2016 n.199 ha novellato l’art. 603 bis c.p. La riforma ha inciso su due dei tre elementi costitutivi del reato.
In primo luogo le modalità della condotta consistenti nella violenza, minaccia o intimidazione non sono più annoverate nella fattispecie basica. Tali elementi ora costituiscono una circostanza aggravante, così come prevista dal secondo comma dell’art. 603 bis c.p.. Del pari costituisce circostanza aggravante “il fatto che il numero dei lavoratori reclutati sia superiore a tre”.
In secondo luogo è stato eliminato il riferimento alla sussistenza di un’attività organizzata. Di tal che, l’attuale previsione considera intermediazione la semplice condotta di reclutamento di manodopera, la quale, pertanto, può essere posta in essere con modalità sia lecite sia illecite. Si pensi nel primo caso all’ipotesi di un’impresa che consegua l’autorizzazione all’esercizio della somministrazione di manodopera e che dietro tale schermo applichi ai lavoratori condizioni di lavoro lesive e non dignitose.
In terzo luogo per la dimostrazione dello sfruttamento del lavoratore non occorre più una sistematica violazione degli indici probatori di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4, essendo ora sufficiente la reiterata violazione degli stessi. Ergo da un agere illecito strutturato, perché sistematico, si passa a una condotta ripetitiva, con la conseguenza che anche una duplice violazione può essere di per sé bastevole a generare sfruttamento.
In quarto luogo la novella ha inciso sul fatto tipico introducendo una nuova condotta di reato: “l’utilizzo, impiego o assunzione di manodopera” in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno. In tale modo il Legislatore è intervenuto colmando la lacuna della precedente normativa che rendeva assai difficile l’incriminazione dell’utilizzatore della manodopera. Ora il testo contempla tra gli autori del fatto sia il “caporale” e cioè l’intermediario, sia colui che “utilizza, assume o impiega manodopera” sottoponendo i lavoratori a “condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno”. Ciò è stato posto in luce da un recente pronunciamento delle S.C. la quale ha affermato testualmente che “Nella formulazione attuale introdotta dalla legge n. 199/2016, l’art. 603-bis c.p., superando le perplessità alimentate dalla precedente formulazione, sanziona penalmente anche colui che utilizza o impiega a proprio beneficio le prestazioni dei lavoratori intermediati o reclutati da altri” (cfr. Cass. pen. Sez. V, 17/10/2017, n. 51634).
Vale aggiungere che l’art. 6 della L. 199/2016 ha introdotto una modifica nell’art. 25 quinquies, comma 1, lett. a) del D.lgs. 231/2001, prevedendo la responsabilità degli enti da reato anche per il delitto ex art. 603 bis c.p..
Per effetto della riduzione a circostanze aggravanti delle condotte di violenza, minaccia e intimidazione, il disvalore della condotta si concentra sulle condizioni di sfruttamento e sull’approfittamento dello stato di bisogno del lavoratore.

Gli indici probatori dello sfruttamento del lavoratore

La nozione di sfruttamento abbraccia qualsiasi condotta da cui derivi un vantaggio economico per l’autore. A tale fine soccorrono gli indici probatori di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 del comma 3, i quali contribuiscono alla definizione del tipo, ma non esauriscono la nozione medesima. Ciò significa che lo sfruttamento può risultare anche da altre violazioni rispetto a quelle descritte negli indici probatori predetti.
Sul punto è bene sottolineare che per la ricorrenza dello sfruttamento non occorre la presenza cumulativa di tutti gli indici probatori essendo all’uopo sufficiente anche uno solo di essi. Trattasi questo di un criterio sancito recentemente dalla S.C. a mente della quale “ai fini dell’integrazione del delitto di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.) è sufficiente la sussistenza di anche uno soltanto degli indici dello sfruttamento presenti nella disposizione […]” (cfr. Cass. pen. Sez. V, 12/01/2018, n. 17939).

La retribuzione, l’orario di lavoro, ferie e aspettativa obbligatoria

I primi due indici sono la “reiterata” violazione della normativa sulla retribuzione o sull’orario di lavoro, riposo, aspettativa obbligatoria e ferie.
La retribuzione corrisposta al lavoratore deve essere palesemente difforme rispetto al quantum stabilito dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale. Tali contratti costituiscano la fonte più idonea per determinare il c.d. “giusto corrispettivo” (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/08/2013, n. 19578, conforme Cons. Stato Sez. III, 11/07/2013, n. 3723), giacché rappresentano il criterio oggettivamente disponibile (Cass. civ. Sez. lavoro, 15/10/2010, n. 21274), atto ad assicurare la corrispondenza della retribuzione al precetto costituzionale di cui all’art. 36 Cost. (cfr. C. cost.,10.6.1066, n. 63).
Il concetto di “palese difformità” postula una discordanza obiettiva tra i trattamenti retributivi erogati e quelli fissati in via tabellare dai contratti collettivi. Tale discordanza deve essere evidente o manifesta, nel senso che non devono sussistere dubbi interpretativi o applicativi in ordine alle modalità di determinazione, in misura inferiore, della remunerazione.
Si ritiene inoltre che non ogni difformità dia luogo alla sussistenza dell’indice di sfruttamento, ma solo quella che sia “sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato” dal dipendente. Ciò significa, in altre parole, che lo scollamento della retribuzione rispetto al salario tabellare deve essere marcato e quindi idoneo a incidere sul canone della sufficienza di cui all’art. 36 Cost., prendendo a riferimento, a tale fine, la qualifica, le mansioni concretamente svolte al dipendente e l’orario di lavoro osservato da costui.
Costituiscono indici di sfruttamento le ripetute violazioni commesse da parte del datore di lavoro in materia di orario di lavoro, disciplinato dal D.lgs. n. 66/03 e dai contratti collettivi applicati dalla parte datoriale. Confluiscono in tali violazioni le inosservanza sulla concessione dei periodi di riposo e delle ferie, quali diritti costituzionalmente protetti ex art. 36 Cost. e funzionali a salvaguardare l’integrità psico-fisica del dipendente (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 10/10/2017, n. 23697).
Con riferimento all’aspettativa obbligatoria si ritiene che la norma faccia riferimento al periodo di congedo per maternità, atteso che, ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. n. 151/01, è fatto divieto per il datore di adibire al lavoro le lavoratrici nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi al parto. Durante tale periodo la lavoratrice conserva il posto di lavoro e l’erogazione di un’indennità previdenziale di sostegno al reddito, spesso integrata nella misura stabilita dai contratti collettivi. Il carattere non esaustivo degli indici probatori nel senso sopra chiarito fa sì che possano confluire nella previsione anche gli altri eventi di cui all’art. 2110 c.c. come la malattia e l’infortunio del dipendente ovvero i periodi di sospensione causati dall’esercizio di diritti potestativi normativamente e/o contrattualmente riconosciuti al dipendente (es. congedo matrimoniale).

La violazione della normativa in materia di igiene e sicurezza

L’indice contenuto nel n. 3 del comma 3 dell’art. 603 bis c.p., richiede la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro. L’eliminazione nella nuova formulazione della fattispecie del requisito della messa in pericolo della salute, della sicurezza o dell’incolumità personale del lavoratore sembra che renda rilevante qualunque violazione, anche di carattere meramente formale, alle prescrizioni contenute nel D.lgs. n. 81/08.

Le condizioni di lavoro degradanti

Infine l’indice di cui al n. 4 del comma 3 dell’art. 603 c.p. riguarda la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative degradanti. Quest’ultimo aggettivo pare possa riferirsi a ciascuna delle fattispecie descritte dall’indice, di tal che la semplice violazione dell’art. 4 della L. n. 300/70 non pare di per sé sufficiente a integrare una condizione sfruttamento.

L’approfittamento dello stato di bisogno

Per quanto concerne l’approfittamento dello stato di bisogno, tale requisito appare integrato dalla condotta del datore che strumentalizza lo stato di vulnerabilità del lavoratore, al fine di trarre vantaggio dagli ingiusti trattamenti normativi e retributivi applicati a quest’ultimo. Per cogliere il significato del concetto di approfittamento non va omesso di considerare che le posizioni soggettive sottese al rapporto di lavoro subordinato non sono liberamente disponibile dalle parti e che anzi, nella materia de qua, l’autonomia individuale trova, ancora oggi, stretti margini di operatività, considerata l’intrinseca disuguaglianza che contrassegna le parti del contratto, l’una tenuta a dirigere (art. 2094 c.c.), l’altra invece obbligata a osservare le disposizioni impartite (art. 2014 c.c.).
La disuguaglianza spiega la debolezza contrattuale del lavoratore e giustifica, al tempo stesso, la cogente disciplina protettiva dedicata a quest’ultimo, in relazione alla cui osservanza il personale ispettivo è tenuto a esercitare le attribuzioni di cui al D.lgs. n. 124/04, volte anche a preservare la dignità del prestatore, quale bene inviolabile, codificato positivamente (art. 2087 c.c.) e, ancor prima, riconosciuto e garantito ex art. 3 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 359/2003; Corte Cost. n. 113/2004).
La situazione di vulnerabilità del lavoratore pertanto è il presupposto della condotta approfittatrice del datore.
Appare quindi corretta la tesi propugnata da un’autorevole dottrina per cui nel rapporto, specie subordinato, lo stato di bisogno del dipendente è quasi, se non sempre, ricorrente sol se si considera, giustamente, il lavoro come fonte di vita, di valorizzazione e di reddito di ciascuna persona (T. PADOVANI, “Necessario un nuovo intervento per superare i difetti”, in Quot. dir., 21 novembre 2016). Secondo tale logica lo stato di bisogno non deve essere inteso come necessità che annienta in modo assoluto qualunque libertà di scelta del lavoratore, ma, più semplicemente, come condizione che ne limita l’esercizio in funzione di reperire mezzi idonei per fronteggiare le esigenze di vita. Versa quindi in stato di bisogno il lavoratore subordinato che, in ragione della propria intrinseca posizione di inferiorità socio-economica, sia indotto a eseguire prestazioni lavorative non conformi alle previsioni di legge o di contratto, per conservare il proprio posto di lavoro. E a fortiori versa in stato di bisogno l’inoccupato e o il disoccupato che, privo di adeguate autonome fonti di sostentamento, accetti di instaurare rapporti di lavoro non confacenti alla proprie attitudini ovvero sottopagati o implicanti condizioni di lavoro degradanti.

I nuovi rapporti tra art. 603 bis c.p. e il reato di somministrazione fraudolenta

Alla luce delle modifiche apportate all’art. 603 bis c.p. sopra descritte, si pone per l’interprete un nuovo interrogativo che concerne i rapporti intercorrenti tra tale fattispecie e il reato di somministrazione fraudolenta, recentemente reintrodotto dalla L. n. 96/2018. Come sopra osservato, precedentemente alla novella del 2016, la giurisprudenza aveva costruito tale rapporto in chiava di gradualità dell’offesa al bene tutelato. Tale operazione era resa possibile da una formulazione dell’art. 603 bis c.p. che richiedeva come elementi costitutivi del fatto tipico la violenza o la minaccia o l’intimidazione. La scomparsa di tali requisiti rischia di determinare uno scivolamento verso il basso della fattispecie di cui all’art. 603 bis c.p., rendendo la stessa sovrapponibile, almeno in parte, con il reato di somministrazione fraudolenta. Spetterà alla giurisprudenza il compito di definire nuovamente i rispettivi confini di operatività.

Le considerazioni espresse sono frutto esclusivo dell’opinione degli autori e non impegnano l’amministrazione di appartenenza
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale

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