Il datore di lavoro dà la caccia al certificato inattendibile

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Ai sensi della Finanziaria 2005 (Legge 311/2004), in caso di malattia, il lavoratore è tenuto, entro due giorni dal rilascio del certificato medico da parte del medico curante, a trasmetterlo al datore di lavoro. Tale obbligo previsto oltre che dalla legge, anche dalla contrattazione collettiva, serve per permettere al datore di lavoro di verificare se l’assenza dal lavoro sia effettivamente giustificata dalla malattia denunciata. La giurisprudenza di merito sul punto ha disposto che il datore di lavoro, in alcuni casi, può contestare la sussistenza della malattia del lavoratore o la sua inidoneità a giustificare l’astensione dal lavoro. L’inattendibilità del certificato può essere, infatti, provata sia con altri accertamenti medico-sanitari sia dalle circostanze del caso concreto e dal comportamento del lavoratore. L’esame di alcuni casi precedenti mette in evidenza come in passato i giudici abbiano ritenuto, per esempio, che la malattia da cui era affetto il lavoratore (lombalgia cronica) non fosse di gravità tale da comportare l’incapacità lavorativa e, di conseguenza, hanno ritenuto valido il licenziamento intimato al lavoratore. In un’altra fattispecie, invece, è stato ammesso il ricorso a un’agenzia investigativa da parte del datore di lavoro per smascherare lo stato di infermità denunciato dal lavoratore. Gli esempi dimostrano come l’attestazione rilasciata dal medico curante non è un documento probatorio incontestabile e, quindi, non salva chi simula la propria infermità.
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