Consulente del Lavoro: segreto professionale tra obbligo e prerogativa
Pubblicato il 19 ottobre 2022
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Il segreto professionale per il Consulente del Lavoro è al contempo un obbligo e una prerogativa di cui il professionista si può avvalere nell’ambito di un processo penale. E' quanto sottolinea la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nell’approfondimento “L’obbligo del segreto professionale per il Consulente del Lavoro” del 18 ottobre 2022.
L’approfondimento analizza il segreto professionale di cui all'articolo 6 della legge 11 gennaio 1979, n. 12 sull’ordinamento della professione di Consulente del Lavoro, il cui dovere di osservanza è ribadito dall’articolo 25 del Codice deontologico.
Segreto professionale: quando scatta l'obbligo
Il Consulente del Lavoro è obbligato ad osservare il segreto professionale sulle attività prestate e su tutte le informazioni fornite dal cliente o di cui sia venuto a conoscenza in funzione dell’incarico affidatogli.
Più nel dettaglio, l’obbligo del segreto professionale scatta in presenza di un mandato professionale e della circostanza che le notizie gli siano state riferite dal proprio cliente in funzione del mandato ricevuto.
L'obbligo è temporalmente illimitato: sussiste infatti sia nel corso dell’espletamento dell’incarico professionale, sia a sua conclusione.
Non lede l’obbligo del segreto professionale invece il Consulente del Lavoro che riferisca fatti conosciuti al di fuori dell'incarico professionale ricevuto e a cui gli stessi si riferiscono.
Segreto professionale: quando sorge la responsabilità penale
È configurabile la responsabilità penale del Consulente del Lavoro quando la rivelazione del segreto è fatta “in ragione della propria professione” in base alla previsione di cui all’articolo 622 del codice penale, che punisce “chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, se dal fatto può derivare nocumento”.
NOTA BENE: La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, al riguardo, chiarisce che risponde di tale reato il Consulente del Lavoro che riveli un segreto di cui ha avuto notizia nello svolgere un’attività continuata e caratteristica, ma non necessariamente abituale, esclusiva o principale, diretta alla realizzazione di prestazioni di servizi a favore del cliente.
È, inoltre, punibile penalmente il soggetto che, in ragione del suo “stato”, cioè della sua posizione sociale o giuridica, sia venuto a conoscenza di un segreto “nel dominio” del Consulente del Lavoro (ad esempio, i collaboratori, i praticanti, i dipendenti dello studio, il coniuge, il convivente e gli eredi del professionista).
Il reato non sussiste, invece, se il Consulente del Lavoro riveli informazioni “di cui ha avuto notizia per ragioni extraprofessionali (quali l’amicizia o la solidarietà), oppure che esulano dall’oggetto del rapporto professionale (quali una relazione adulterina, una malattia)” e, secondo autorevole dottrina, la rivelazione di notizie conosciute «per ragioni illecite».
Per essere considerata illecita, la rivelazione deve avvenire “senza giusta causa”. In mancanza di una nozione legale, la Corte di Cassazione ha definito la “giusta causa” che rende non punibile la rivelazione di un segreto professionale come quei “motivi «oggettivamente» rilevanti, perché il fine o il motivo dell’agente, per sé solo, non può considerarsi come giusta causa autorizzante la rivelazione”.
Dovrebbe, pertanto, essere immune da responsabilità penale il Consulente del Lavoro che, per esercitare il proprio diritto di difesa in giudizio, produca un documento ricevuto o riferisca fatti appresi dal cliente in dipendenza del mandato professionale. Ma l'esimente si potrebbe applicare anche all’esercizio di altri diritti, anche se nascenti da rapporti civili e di natura patrimoniale, oltre a quello di difesa.
Segreto professionale e procedimento penale
Un capitolo a parte dell'approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro è dedicato agli effetti del segreto professionale nell’ambito del procedimento penale (articolo 351 del codice di procedura penale del 1930, ovvero articolo 200 del codice di procedura penale del 1989).
Sintetizziamo di seguito le più importanti evidenze.
Il Consulente del Lavoro, citato come testimone (e non come indagato), può dichiarare di avvalersi del segreto professionale ed astenersi dal deporre.
La dichiarazione di volersi avvalere del segreto deve essere resa:
- in udienza e sottoposta al vaglio del controllo da parte del giudice. Infatti, perché il professionista possa essere dispensato dall’obbligo di deporre è necessario che la dichiarazione resista al vaglio giudiziale;
- di propria iniziativa, dal professionista.
Il segreto professionale può essere opposto anche nella fase delle indagini preliminari, quando il Consulente, in qualità di persona informata sui fatti, sia chiamato a rendere “sommarie informazioni” alla polizia giudiziaria (articolo 351 del codice di procedura penale) o al pubblico ministero (articolo 362 del codice di procedura penale) ovvero nel caso in cui riceva da parte dell’autorità giudiziaria un ordine di esibizione di atti e di documenti (articolo 256 del codice di procedura penale).
Il Consulente del Lavoro può esimersi dal consegnare “gli atti e i documenti, anche in originale” (…) “nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici” dei quali gli viene formulata la richiesta. Tuttavia se “l’autorità giudiziaria ha motivo di dubitare della fondatezza” della dichiarazione che concerne il segreto professionale, “e ritiene di non poter procedere senza acquisire gli atti, i documenti o le cose indicate” nella richiesta di esibizione, “provvede agli accertamenti necessari” e “se la dichiarazione risulta infondata” (…) “dispone il sequestro”.
Secondo la Corte di Cassazione, “l’attuale disposto dell’art. 256 c.p.p. – nel testo introdotto dall’art. 8 l. 48/2008 ed applicabile anche agli esperti contabili ai sensi del combinato disposto degli artt. 200 c.p.p. e 5 d. lgs. 28.6.2005 n. 139 – ha superato i limiti in precedenza esistenti in tema di opposizione del segreto professionale prevedendo una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza; questa nuova disciplina stabilisce che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’autorità giudiziaria ha l’onere di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale”.
Il Consulente è tenuto a consegnare all’autorità giudiziaria in forza dell’ordine emesso “cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché” quelle “che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo” (che rappresentano, quindi, il cosiddetto “corpo del reato”) e “cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti”.
Infine, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenzia che spetta al professionista “farsi parte diligente” nel formulare tale eccezione, non incombendo sull’autorità giudiziaria procedente l’obbligo di informarlo in merito.
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