Cessione del credito e fallimento del debitore ceduto

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Cessione del credito e fallimento del debitore ceduto

Si profila di grande interesse una recente sentenza del Tribunale di Torino[1] in tema di opponibilità al Fallimento della cessione di credito preceduta o seguita dal fallimento del debitore ceduto.

Il giudizio era scaturito dalla domanda di insinuazione al passivo del Fallimento del debitore ceduto proposta dal cessionario del credito.

Si era costituita la Curatela eccependo che la cessione non era stata notificata al debitore ceduto, né dallo stesso accettata prima della dichiarazione di fallimento. Conseguentemente il credito avrebbe dovuto essere escluso dal passivo, poiché la cessione non era munita di data certa anteriore ai sensi dell’art. 45 l.fall.[2] come già ritenuto dalla unanime giurisprudenza di merito.

Secondo tale orientamento al fallimento del debitore ceduto sono opponibili le sole cessioni del creditore notificate o accettate con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, ai sensi degli art. 2914 n. 2 c.c. e 45 l.fall.; ne consegue che in caso di notifica avvenuta dopo tale evento il credito non possa essere ammesso al passivo fallimentare.

Il Tribunale, decidendo la controversia, non ha condiviso la tesi della Curatela.

Secondo i giudici piemontesi, infatti,  l’art. 2914 n. 2 riguarda il pignoramento che ha per oggetto un credito appartenente al debitore esecutato e stabilisce che la cessione del credito stesso non ha effetto in pregiudizio del pignorante, se non è stata notificata al debitore ceduto o da costui accettata con atto avente data certa anteriore al pignoramento.
 A sua volta, l’art. 45 l.fall. stabilendo l’inefficacia rispetto ai creditori delle “formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la di- chiarazione di fallimento, estende la portata dell’art. 2914 n. 2 c.c. alla materia fallimentare, regolando con lo stesso criterio - notifica o accettazione di data certa anteriore - il conflitto tra la massa dei creditori del cedente e il cessionario, avente ad oggetto l’appartenenza al fallimento oppure al terzo cessionario di un bene del fallito.
 L’una e l’altra norma riguardano quindi il pignoramento eseguito (o il fallimento dichiarato) nei confronti del cedente e non possono applicarsi al ben diverso caso in cui il fallito sia (non già cedente ma) debitore ceduto.

Innanzitutto, non v’è un conflitto tra titoli di acquisto incompatibili aventi a oggetto il medesimo bene (il credito), poiché con riguardo alla cessione il Fallimento non può ovviamente vantare alcun diritto, semmai si trova nella medesima posizione del fallito, ossia di debitore ceduto. In secondo luogo, la cessione non può arrecare alcun pregiudizio giuridico al ceto creditorio, posto che per il curatore è in linea di diritto indifferente  (con l’eccezione dell’art. 56 cpv. l.fall.) ammettere al passivo e pagare il cedente oppure il cessionario.

La migliore e condivisa giurisprudenza ha riconosciuto al riguardo che l’art. 45 l.fall. e l’inopponibilità ivi prevista riguardano soltanto gli atti di disposizione suscettibili di arrecare pregiudizio al fallimento[3].

Secondo la S.C. la natura costitutiva dell’annotazione della surrogazione ex art. 2843 cod. civ.,[4] anche se la surroga sia fatta in data posteriore al fallimento, “non rende applicabile l’art. 45 l.fall. poiché il predetto pagamento, lasciando immutato nella sua oggettività il rapporto obbligatorio, si limita a modificarne il profilo soggettivo, e non configura un atto pregiudizievole per i creditori”. Egualmente è a dirsi nel caso della cessione del credito, nel quale, invariata la consistenza del passivo, se ne trasferisce un elemento da un creditore a un altro.

Il Tribunale, poi, ha ritenuto egualmente non  pertinente il requisito della data certa anteriore (art. 2704 c.c.) come condizione per l’opponibilità al Fallimento della scrittura privata di cessione. Infatti, proprio la legge fallimentare ammette espressamente la possibilità di rendersi cessionari di crediti nei confronti del fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Si fa riferimento all’art. 56 cpv. l.fall.[5]

Tale norma, escludendo tra gli attributi del credito soltanto il potere di compensare (e solo se si tratti di un credito ancora non scaduto alla data del fallimento), conferma appunto per il resto la piena efficacia della cessione del credito vantato nei confronti del fallito, pur se il trasferimento sia avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento.

Conseguentemente - poiché la cessionaria non aveva   eccepito alcuna compensazione e il credito della cedente era già scaduto alla data di fallimento -  il Tribunale ha ritenuto che la data certa ex art. 2704 c.c. non fosse  rilevante in subiecta materia, ben potendo  la cessione  intervenire con pari efficacia anche successivamente al fallimento.

Neppure, secondo i giudici torinesi,   può trarsi argomento dall’art. 115 l.fall. (testo oggi vigente), che ammette la modifica dello stato passivo con sostituzione del cessionario al cedente qualora la cessione risulti da “atto recante le sottoscrizioni autenticate di cedente e cessionario”, per concludere che la cessione priva di data certa anteriore al fallimento debba gioco forza ritenersi ad esso successiva e quindi, a pena di inefficacia, debba essere rivestita della forma autentica prescritta dall’art. 115.

La norma, significativamente collocata fuori dalla pertinente  sedes materiae (“effetti del fallimento per i creditori”) e fuori dalle disposizioni sulla verifica del passivo, ha infatti due presupposti: a) che il cedente sia stato ammesso allo stato passivo del fallimento; b) che il cessionario abbia un titolo autentico a dimostrazione della sua qualità. La premessa sub “a” implica che il curatore non può far valere contro il cessionario eccezioni che non ha speso contro il cedente o che ha proposto e sono state respinte. Dunque, il compito del curatore di fronte a un’istanza di ammissione del cessionario in luogo del cedente si limita alla verifica dell’esistenza, e al limite della validità, della cessione. La premessa sub “b” chiude il cerchio, poiché l’autenticazione notarile delle sottoscrizioni fa fede fino a querela di falso dell’esistenza della cessione (e crea una ragionevole presunzione di validità), consentendo pertanto al curatore di ammettere il cessionario in luogo del cedente, tramite una semplice variazione - “in via amministrativa” - dello stato passivo, senza necessità di provocare un nuovo accertamento giudiziale.

La verifica del passivo- con conseguente estensione del contraddittorio ai creditori concorrenti, riserva della decisione al giudice, applicazione dei rimedi impugnatori tipici ecc. - torna per contro necessaria, perché non coperta dall’art. 115, quando: a) il credito non sia stato ancora ammesso, neppure in testa al cedente; b) la cessione, anteriore o successiva che sia, non sia stata autenticata.

Si deve concordare con il Tribunale, quindi,  sul fatto che l’art. 115 rappresenti conclusivamente una mera semplificazione del procedimento di rettifica dello stato passivo e non prescriva un onere di forma (scrittura privata autenticata) per l’efficacia e/o opponibilità della cessione di credito successiva al fallimento (o anteriore, ma sfornita di data certa).

La cessione di credito è dunque efficace ancorché non notificata al debitore fallito né da costui accettata anteriormente al fallimento.

Per scrupolo di completezza, poi, nella motivazione della pronuncia in commento,  viene soggiunto che:

a) il contratto di cessione di credito ha natura consensuale; perciò “il suo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, il quale attribuisce a quest’ultimo la veste di creditore esclusivo, unico legittimato a pretendere la prestazione (anche in via esecutiva), pur se sia mancata la notificazione prevista dall’art. 1264 c.c.”[6] o la pressoché equipollente sul piano effettuale accettazione del debitore ceduto

b) a sua volta, la notificazione “è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buona fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario, nonché, in caso di cessioni diacroniche del medesimo credito, per risolvere il conflitto tra più cessionari, trovando applicazione in tal caso il principio della priorità temporale riconosciuta al primo notificante”

Ora, se da un lato è evidente che tali conflitti (tra pluralità di cessionari o tra cessionario e fallimento del cedente) possono teoricamente manifestarsi anche riguardo alla cessione di credito nei confronti di un soggetto fallito, è nondimeno chiaro che:

- la domanda di insinuazione al passivo equivale a notifica della cessione e pertanto perfeziona, anche nei confronti del debitore ceduto, la legittimazione del cessionario;

- fatta mediante deposito in cancelleria o trasmissione a mezzo PEC, equivale a notifica della cessione assistita da data certa agli effetti della risoluzione dei conflitti anzidetti.

Pertanto il curatore non può limitarsi a eccepire la mancanza di data certa della cessione, ma ha l’onere di contestare, non genericamente, l’esistenza del credito originario e/o l’esistenza e validità del negozio di cessione.

 

Dunque, in mancanza di contestazione in ordine all’esistenza ed alla validità della cessione, secondo  il Collegio, il credito non poteva non essere ammesso.

 


[1] Tribunale di Torino, Sez. VI, 10 aprile 2014

[2] art. 45 L.Fall. <<Le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori >> 

[3] Cass. 19 giugno 2008 n. 16669

[4] art. 2843 c.c.: <<…… la trasmissione o il vincolo dell’ipoteca non hanno effetto se non dopo l’annotazione….>>  

[5] art. 56 cpv L. Fall.:<< per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore)

[6] Cass. 13 luglio 2011 n. 15364; conforme Cass. 5 novembre 2009 n. 23463; Cass. 26 aprile 2004 n. 7919

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