E' stata confermata, dalla Corte di cassazione, la condanna penale impartita a tre soggetti - che rivestivano, rispettivamente, il ruolo di legale rappresentante, di gestore di fatto della società datrice di lavoro e di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione - per il reato di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche in danno di un operaio.
Agli imputati era stato contestato di avere, in cooperazione colposa tra loro, cagionato la morte del prestatore il quale, trovandosi su un'impalcatura priva dei requisiti tecnici richiesti, era precipitato da un'altezza di circa sei metri, decedendo successivamente in ospedale.
A seguito dell'istruttoria, in particolare, i giudici di merito erano pervenuti alla conclusione che l'operaio fosse precipitato dall'impalcatura a causa dello spazio vuoto lasciato, in una parte del ponteggio, tra il tavolato ed il manufatto e dalla mancanza di parapetti ai lati.
Il ponteggio, in altri termini, si presentava su un lato, per tutta la sua altezza, privo di parapetti ed allestito non in aderenza all'edificio.
Con sentenza n. 30167 del 12 luglio 2023, la Suprema corte ha respinto l'impugnazione promossa dai tre imputati e confermato, quindi, le statuizioni rese dai giudici di merito, i quali, con argomentare logico e coerente, avevano ritenuto che il fatto fosse riconducibile ai tre ricorrenti.
Con riferimento, in particolare, alla posizione del coordinatore per la sicurezza, la Corte ha giudicato infondate le censure sollevate con riguardo all'asserita mancata specificazione della natura del rischio e degli obblighi cautelari gravanti a carico del medesimo.
La Quarta sezione penale della Cassazione ha infatti giudicato "logico" il ragionamento svolto dalla Corte di merito secondo la quale, stante l'evidente difformità del ponteggio realizzato nel cantiere rispetto alle norme prevenzionistiche del PSC, il coordinatore per l'esecuzione si era sottratto all'adempimento di un preciso dovere di verifica e d'intervento in relazione ad un'area di rischio ricadente nel perimetro della sua funzione.
Sul punto, è stato espressamente richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui:
"In tema di infortuni sul lavoro, il compito di controllo del coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori sull'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) che non preveda le modalità operative di una lavorazione in quota, non è limitato alla regolarità formale dello stesso e alla astratta fattibilità di tale lavorazione con i mezzi ivi indicati, ma si estende alla verifica della compatibilità di tale lavorazione con le concrete caratteristiche degli strumenti forniti e delle protezioni apprestate dall'impresa".
Rispetto, invece, alla posizione del legale rappresentante, la cui difesa aveva contestato la qualifica di datore di lavoro, la Cassazione ha evidenziato come la responsabilità dell'amministratore della società, in ragione della posizione di garanzia assegnatagli dall'ordinamento, non venga meno per il fatto che il ruolo rivestito sia meramente apparente.
Da qui l'enunciazione del principio di diritto secondo cui:
"In tema di infortuni sul lavoro, in base alla lettura combinata degli artt. 2 e 199 D.lgs n. 81/2008, la titolarità solo formale della qualifica di amministratore di società, a cui fa capo il rapporto di lavoro con il dipendente, non costituisce causa di esonero da responsabilità in caso di omissione delle cautele prescritte in materia antinfortunistica; le due norme, infatti, prevedono una corresponsabilità sia del formale titolare della qualifica di datore di lavoro, sia di colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, ne eserciti in concreto i poteri giuridici".
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