Con la revisione del sistema sanzionatorio tributario, di cui alla recente Riforma fiscale, è stata introdotta un'ulteriore causa di non punibilità per i reati tributari di omesso versamento di ritenute certificate e di Iva.
Ai sensi della novella, in particolare, si ha la non punibilità se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore, sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto.
Il giudice, in tale contesto, tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore, dovuta all’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovra indebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi.
Il nuovo quadro normativo è stato richiamato dalla Corte di cassazione, Terza sezione penale, nel testo della sentenza n. 30532 del 25 luglio 2024.
Nella vicenda in esame, la Suprema corte ha annullato, con rinvio, la decisione con cui la Corte d'appello aveva condannato un imprenditore per il reato di omesso versamento dell'Iva.
La novella è stata richiamata per avvalorare le deduzioni difensive sollevate dall'imputato, concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti.
L'amministratore aveva impugnato la sentenza di appello sostenendo che i giudici di secondo grado avevano ignorato le cause, indipendenti dalla sua volontà, che avevano determinato l'inadempimento dell'obbligazione tributaria.
Inadempimento per cause indipendenti alla propria volontà
Al riguardo, aveva dedotto che la società da lui rappresentata, una Srl, svolgeva lavori esclusivamente nell'ambito della gestione di uno stabilimento siderurgico effettuata da altra società, una Spa, agendo come monomandataria di quest'ultima.
Le vicende giudiziarie che avevano coinvolto la Spa, con conseguente subentro di una nuova società e l'abbandono "alla deriva del fallimento dei pregressi crediti", avevano determinato il mancato pagamento dei crediti vantati, oltre che una crisi delle commesse.
Le azioni legali per il recupero dei crediti, in tale contesto, avevano trovato sbarramento nel fallimento della società debitrice.
Tale situazione, ad avviso del ricorrente, consentiva di escludere profili di rilievo penale nella sua condotta, atteso che l'imprenditore si era attivato nell'unico modo possibile, vale a dire proponendo azioni legali, e che certo non avrebbe potuto provvedere al pagamento delle ingenti somme con il proprio patrimonio personale.
La Corte di cassazione ha giudicato fondato il ricorso dell'imprenditore.
Nella propria disamina, gli Ermellini hanno richiamato la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di omesso versamento Iva.
Giurisprudenza che - viene sottolineato - risulta improntata a particolare rigore nella valutazione della condotta omissiva e, conseguentemente, nell'individuazione di possibili situazioni idonee ad escludere la colpevolezza dell'agente.
Parimenti noto, tuttavia, è il fatto che alcune significative pronunce di legittimità abbiano, in qualche misura, temperato tale rigore interpretativo.
La Corte ha così rammentato l'arresto giurisprudenziale con cui è stato affermato che, in tema di reati tributari, l'omesso versamento di Iva dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica (Cassazione n. 31352/2021).
In applicazione di questo principio, è stato annullata, nella fattispecie, la condanna riguardante insoluti per circa il 43% dl fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità.
Questa ultima decisione, peraltro, è stata richiamata anche nella sentenza di Cassazione n. 19651/2022, che ha sottolineato la necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell'impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente e così via.
La Terza sezione penale della Cassazione ha ritenuto che questi principi fossero applicabili anche nella vicenda esaminata.
La difesa dell'imputato aveva lamentato la mancata considerazione di quanto tempestivamente dedotto riguardo all'impossibilità, per la società, di far fronte agli obblighi di versamento per cause indipendenti dalla volontà del ricorrente e a lui non imputabili.
Anche attraverso le deposizioni testimoniali, in particolare, si era fatto riferimento:
La Corte d'appello, nonostante avesse compreso le cause della crisi di liquidità, aveva ritenuto generiche le doglianze dell'imputato ed aveva richiamato la giurisprudenza più restrittiva, che esclude qualsiasi possibilità di evocare la scriminante di cui all'art. 51 del Codice penale.
Ebbene, la Corte di cassazione ha escluso che le linee argomentative seguite dai giudici di appello fossero in linea con i principi enunciati dalle sentenze richiamate.
Per i giudici di Piazza Cavour, la sentenza impugnata non forniva una risposta adeguata alle deduzioni difensive invocate.
Da qui la considerazione che, in linea generale e conclusivamente, la necessità di attribuire il massimo rilievo alle problematiche evocate dal ricorso:
"trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo: il recentissimo D. Lgs. n. 87/2024, intervenendo sull’articolo 13 del D. Lgs. n. 74/2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter del medesimo decreto, "se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta all’inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovra indebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi".
In definitiva, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo giudizio di merito.
Sintesi del Caso | Un imprenditore è stato condannato per omesso versamento dell'IVA a causa della grave crisi di liquidità della sua società, dovuta al fallimento del principale committente. La Corte d'Appello ha ignorato le cause indipendenti dalla volontà dell'imprenditore che avevano portato all'inadempimento. |
Questione Dibattuta | Se l'imprenditore potesse essere esonerato dalla punibilità per omesso versamento dell'IVA in presenza di una crisi di liquidità non imputabile alla sua volontà, come previsto dalla recente riforma fiscale. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d'Appello, ritenendo che le difficoltà economiche dell'imprenditore, dovute all'insolvenza del principale committente e non imputabili alla sua volontà, potessero escludere la colpevolezza e quindi la punibilità per l’omesso versamento dell’IVA. Nella decisione è stato fatto richiamo alla nuova normativa che prevede la non punibilità in tali circostanze. |
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