In sede d’interpretazione di un titolo edilizio, le risultanze grafiche - che ne costituiscono parte integrante ‒ possono chiarire e completare quanto è stabilito nel testo, pur non potendosi sovrapporre o negare quanto da esso risulta.
Non è dato stabilire una regola precisa che valga a risolvere preventivamente eventuali contrasti fra le prescrizioni formulate nel testo (con parole) e quelle evidenziate in grafici o segni e colori convenzionali, dato che, ove sussista un siffatto contrasto tra i due mezzi di manifestazione del pensiero, ciò può dipendere da un errore sia nelle parole, sia nei segni grafici. In linea di massima, tuttavia, in detti casi occorre accordare prevalenza alle prescrizioni testuali, ma solo se siano tali da dare sicurezza circa il loro contenuto.
Qualora, tuttavia, il canone dell’interpretazione letterale del testo non sia risolutivo ‒ permanendo l’incertezza sul suo contenuto dispositivo ‒ gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati, in applicazione del criterio ermeneutico di buona fede (ex art. 1366 c.c.), in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere.
Sulla base di detto assunto, il Consiglio di Stato, Sezione sesta, ha deciso una controversia concernente la contestazione di una concessione edilizia che non autorizzava determinati interventi di demolizione di un fabbricato.
Come correttamente rilevato nella pronuncia impugnata – secondo il Collegio amministrativo, con sentenza a n. 3510 del 17 luglio 2017 – nella specie, i connotati oggettivi dell’intervento (ed, in particolare, i beni oggetto di integrale o parziale demolizione) non potevano essere individuati sulla base della sola relazione illustrativa, la quale utilizzava espressioni del tutte equivoche. Gli elaborati grafici (con i rispettivi colori), hanno dunque rivestito importanza ermeneutica decisiva e sono stati, dall’amministrazione, ragionevolmente interpretati come comportanti la conservazione di parte delle strutture murarie del corpo del fabbricato.
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