Sulla pronuncia della Cassazione Penale n. 30827 del 21 giugno 2017, che stabilisce l'indefettibilità del requisito dell’iscrizione all’Ordine professionale per l’esercizio della professione di Consulente del Lavoro ed esclude la possibilità di qualsiasi altra soluzione alternativa, si riapre la querelle tra consulenti e commercialisti.
In merito alla sentenza sono intervenuti i consulenti, con il parere 5/2017, forti di una pronuncia che ribadisce, secondo la Fondazione studi, che:
Ribatte l'Anc, con il comunicato stampa del 30 giugno 2017 (Abusivismo attività consulenza lavoro): “Il Parere formulato dal Dipartimento della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro sulla sentenza in parola (Parere n. 5 del 23.06.2017) è sconcertante e – sostiene Marco Cuchel Presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti – il tentativo di stravolgere il senso di una sentenza, il cui reale valore sul piano della lotta all’abusivismo dovrebbe essere condiviso da tutte le professioni ordinistiche, non è accettabile e non può passare sotto silenzio”.
È fuorviante affermare che la sentenza della Corte di Cassazione, di fatto, riconosca il diritto all’esercizio degli adempimenti in materia di lavoro solo agli iscritti nell’albo dei Consulenti del Lavoro.
E nel comunicato si ribadisce che i commercialisti da sempre svolgono, ancor prima dell’introduzione della specifica normativa, l’attività di consulenza in materia di lavoro e con la legge 12/1979 sono riconosciuti, a pieno titolo, tra i soggetti abilitati.
Non corrisponde a verità l'affermazione che i soggetti abilitati siano solo i consulenti; mentre, gli altri professionisti che la normativa contempla, e tra questi commercialisti ed avvocati, sono solo soggetti autorizzati.
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