Le Sezioni unite civili di Cassazione hanno confermato la sanzione disciplinare della censura impartita ad un pubblico ministero per aver chiesto l’emissione di un decreto di rinvio a giudizio nei confronti di due imputati, sebbene il reato a questi ascritto fosse ampiamente prescritto, come poi accertato dal Gup con sentenza di non luogo a procedere.
Con detta condotta, era stato contestato al Pm di aver mancato ai propri doveri di diligenza e correttezza, provocando un danno ingiusto alle parti processuali.
La Suprema corte, con la sentenza n. 14800 del 19 luglio 2016, ha respinto le specifiche doglianze avanzate dal ricorrente Pm, ricordando come la valutazione, in concreto, dell’idoneità di un determinato comportamento a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma che si asserisce violata, e perciò ad assumere rilevanza disciplinare, sia compito esclusivo della Sezione disciplinare del Csm.
Per la Corte, tale giudizio, implicante un apprezzamento di fatto, non era censurabile in sede di legittimità in quanto assistito, nella specie, da una motivazione sufficiente e non contraddittoria.
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