La Cassazione ha annullato, con rinvio, un’ordinanza con cui il GUP aveva respinto la richiesta di riduzione della durata delle pene accessorie stabilite con una sentenza di condanna passata in giudicato.
Si trattava dell’inabilitazione ad esercitare impresa commerciale e dell’inabilità ad assumere uffici direttivi presso qualsiasi impresa, pene, queste, disposte per la durata di 10 anni.
Il Giudice di merito aveva ritenuto che, nella specie, l’entità della pena principale inflitta in sede di cognizione non consentisse di rimodulare la durata delle pene accessorie.
L’interessato aveva promosso ricorso in sede di legittimità, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del GUP.
La Suprema corte, con sentenza n. 26601 del 24 settembre 2020, ha affrontato la questione di diritto concernete la proponibilità, con il rimedio dell’incidente di esecuzione, della richiesta di rinnovata determinazione del profilo temporale relativo all’applicazione delle pene accessorie in oggetto.
Quesito a cui gli Ermellini, dopo una disamina della giurisprudenza enunciata in materia, hanno dato risposta positiva.
Hanno così riconosciuto, al giudice dell’esecuzione, la libertà cognitiva di stabilire in via autonoma la durata delle pene accessorie fallimentari, senza dover rispettare la perfetta simmetria di decisione rispetto a quanto statuito per la pena principale detentiva.
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