Primo via libera della Camera, all'unanimità, alla proposta di legge a testo unificato che modifica il codice sulle pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo al fine di sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi.
Il testo unificato delle proposte di legge (A.C.522-615-1320-1345-1675-1732-1925-2338-2424-2454-A), composto in tutto da 6 articoli, passa ora all'esame del Senato.
L'articolo 1 prevede che siano la consigliera o il consigliere nazionale di parità (e non più il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, come attualmente previsto dall'art. 20 del codice sulle pari opportunità, D.Lgs. 198/2006) a presentare la relazione biennale al Parlamento sui risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parità e pari opportunità nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del Codice delle pari opportunità, anche sulla base del rapporto che gli stessi soggetti elaborano entro il 31 marzo di ogni anno sulla propria attività e su quella dalla Conferenza nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parità, nonché, come già previsto, delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale.
In sede di prima applicazione, la suddetta relazione è presentata entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello di entrata in vigore della legge in via di approvazione.
L'articolo 2 interviene sulla definizione di discriminazione diretta e indiretta contenuta nell'art. 25 del D.Lgs. 198/2006, ampliandola.
Viene in primo luogo riformulato il concetto di atto discriminatorio. E' da intendersi tale ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
Il novero dei soggetti tutelati, potenziali vittime di comportamenti discriminatori, è esteso alle candidate e ai candidati in fase di selezione del personale.
Infine, tra le fattispecie che danno luogo a discriminazione indiretta sono inseriti anche gli atti di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro.
L'articolo 3 interviene sulle modalità di redazione del rapporto biennale relativo alla situazione del personale modificando l'articolo 46 del codice delle pari opportunità.
L'obbligo di redigere è previsto con cadenza biennale (cade la previsione per cui il rapporto va redatto almeno ogni due anni) ed esteso alle aziende (pubbliche e private) che impiegano più di 50 dipendenti (attualmente è obbligatorio solo per le aziende con oltre 100).
Le aziende che occupano fino a 50 dipendenti possono redigerlo su base volontaria.
Il rapporto va redatto in modalità esclusivamente telematica, attraverso la compilazione di un modello pubblicato nel sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali. La consigliera e il consigliere regionale di parità sono tenuti, dopo aver elaborato i relativi risultati, a trasmettere il rapporto anche alle sedi territoriali dell'Ispettorato nazionale del lavoro, al CNEL e all'Istat, oltre che, come attualmente previsto, alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Dipartimento delle pari opportunità.
Il Ministero del lavoro pubblica l'elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e di quelle che non lo hanno trasmesso.
Con decreto interministeriale verranno definite:
Sempre l'articolo 3 modifica il codice delle pari opportunità prevedendo per le aziende inottemperanti all'obbligo di presentazione e di redazione del predetto rapporto:
Viene istituita, a decorrere dal 1° gennaio 2022, la certificazione della parità di genere per attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. (articolo 4).
Viene affidata ad uno o più DPCM la definizione:
Si prevede, inoltre, l'istituzione di un Comitato tecnico permanente sulla certificazione di genere nelle imprese. I componenti di tale comitato non hanno diritto a compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o ad altri emolumenti comunque denominati.
L'articolo 5 riconosce alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere uno sgravio, per il 2022, dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro.
Lo sgravio concesso, nel limite di 50 milioni di euro annui, è determinato annualmente in misura non superiore all'1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna azienda, riparametrato e applicato su base mensile, con decreto interministeriale, da adottare entro il 31 gennaio di ciascun anno.
Resta ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
Il beneficio può essere previsto anche per gli anni successivi al 2022, a condizione che sia emanato un provvedimento che stanzi le risorse finanziarie.
Alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della predetta certificazione della parità di genere, viene poi riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte di Autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.
Resta fermo quanto disposto dall'art. 47 del D.L. 77/2021 che prevede l'eventuale assegnazione di un punteggio aggiuntivo all'offerente o al candidato che rispetti determinati requisiti, nell'ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con risorse del PNRR o del Piano nazionale per gli investimenti complementari.
Società pubbliche non quotate
L'articolo 6, infine, estende alle società pubbliche non quotate le norme in tema di equilibrio di genere negli organi di amministrazione di cui all'articolo 147-ter, comma 1-ter, del Testo Unico dell'intermediazione finanziaria – TUF (Dlgs. n. 58 del 1998).
In conclusione, per il riparto degli amministratori e per 6 mandati consecutivi il genere meno rappresentato deve ottenere almeno due quinti degli amministratori eletti anche nelle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni e non quotate in mercati regolamentati.
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