Anche i cinque minuti giornalieri che intercorrono tra la timbratura del cartellino e l’effettiva accensione del computer sono tempo effettivo di lavoro e, come tali, vanno retribuiti.
Lo stesso discorso vale anche per i cinque minuti che decorrono dal completamento della procedura di spegnimento del terminale fino alla timbratura d’uscita.
Il principio, già affermato in precedenza da varie sentenze di merito e legittimità, viene ora ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14848 del 28 maggio 2024: vediamo le argomentazioni addotte dagli ermellini.
La Corte di appello di Roma, in accoglimento del ricorso proposto da alcuni dipendenti di una società di telecomunicazioni, aveva dichiarato il loro diritto a ricevere la retribuzione dei cinque minuti giornalieri, in entrata e in uscita, intercorrenti dalla timbratura del cartellino all’effettivo inizio o termine dell’attività lavorativa.
Contro tale decisione, la società ha proposto ricorso per Cassazione adducendo un’errata e contraddittoria interpretazione dell’articolo 1, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 66 del 2003, con specifico riferimento ai presupposti che consentono di definire il tempo che il dipendente mette a disposizione dell’azienda come orario di lavoro.
In particolare, nel caso di specie, secondo la società mancava l’elemento fondamentale del potere gerarchico o direttivo sui dipendenti.
La questione dell’effettivo orario di lavoro ai fini retributivi, come sopra accennato, è stata oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza sotto vari profili.
Se ne è parlato ad esempio a proposito del cosiddetto “tempo tuta”, vale a dire il tempo che il lavoratore impiega per indossare o togliere gli abiti da lavoro, di cui la Corte di Cassazione si è occupata con l'ordinanza numero 25478 del 2021, e (come nel caso in oggetto) a proposito del tempo intercorrente tra la timbratura del cartellino da parte del dipendente e l’effettivo momento di accensione del proprio computer.
Ebbene, la Corte ha accolto in entrambi i casi il consolidato orientamento giurisprudenziale emerso negli anni in tal senso, includendo tali “tempi morti” nell’effettivo orario di lavoro e, in quanto tali, da retribuire.
Entrando nei dettagli della questione decisa con l’ordinanza n. 14848 del 28 maggio 2024, la suprema Corte ha condiviso la conclusione già raggiunta dalla Corte d'appello in linea con la normativa sull'orario di lavoro, vale a dire con il decreto legislativo n. 66/2003 e le direttive comunitarie n. 93/104 e 203/88, secondo cui il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie.
Caratteristiche
La Cassazione ricorda dunque che è rilevante non solo il tempo della prestazione effettiva ma anche quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro.
Per questo, è definito orario di lavoro l'arco temporale trascorso dal lavoratore all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle proprie mansioni, a meno che il datore di lavoro non provi che egli sia libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.
Nel caso in esame, i giudici hanno dunque considerato necessario e obbligatorio fare il tragitto dall'ingresso fino alla postazione di lavoro e compiere ogni altra attività preliminare cui i lavoratori sono tenuti all’inizio e al termine della giornata lavorativa.
E’ l’azienda infatti che ha deciso:
E’, infine, la società ricorrente che ha deciso che all'orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all'uso.
La censura è dunque rigettata dalla suprema Corte che respinge il ricorso e condanna la ricorrente.
Sintesi del caso |
La Corte di Appello di Roma ha riconosciuto ai dipendenti di una società di telecomunicazioni il diritto alla retribuzione dei cinque minuti giornalieri tra timbratura e accensione/spegnimento del computer. La società ha fatto ricorso per Cassazione. |
La questione dibattuta |
La società ha contestato l'interpretazione dell'articolo 1, comma 2, lettera a) del D.Lgs. n. 66/2003, sostenendo che mancava l’elemento del potere gerarchico sui dipendenti nei tempi tra timbratura e attività lavorativa. |
Soluzione del giudice |
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 14848 del 28 maggio 2024, ha confermato la sentenza della Corte di Appello, stabilendo che i tempi accessori sono da considerarsi orario di lavoro retribuito, rigettando il ricorso della società. |
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