Messa alla prova anche per le società responsabili ex 231

Pubblicato il 22 febbraio 2024

L'istituto della messa alla prova è applicabile anche alle società: così il Tribunale di Perugia, discostandosi da quanto affermato, sulla questione, dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 14840/2023.

Messa alla prova: applicabile agli enti?

Con ordinanza del 7 febbraio 2024, il Tribunale umbro ha accolto la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata da una società, incolpata nell'ambito di un procedimento penale per lesioni colpose nei confronti di un dipendente e che la vedeva coinvolta in relazione ad illecito amministrativo ex Decreto legislativo n. 231/2001.

Nella sua disamina, il giudice di merito ha ripreso le argomentazioni promosse dalle Sezioni Unite e alla base della pronuncia di inapplicabilità agli enti della disciplina della messa alla prova.

Conclusioni, queste, ritenute non condivisibili dal Tribunale.

Tribunale di Perugia in disaccordo con le Sezioni Unite

Innanzitutto, secondo l'organo giudicante, andava escluso che l'affermata inapplicabilità della messa alla prova potesse spiegare effetti vincolanti nel caso di specie, trattandosi, all'evidenza, di un tema non collegato con l'oggetto del contrasto giurisprudenziale rimesso alla soluzione delle Sezioni Unite, che concerneva, a ben vedere, una questione prettamente processuale.

Era inoltre pacifico il dato giuridico della non operatività, nel caso in disamina - stante la diversità di situazioni - dell'ulteriore ipotesi di vincolatività delle decisioni della Corte di Cassazione ex art. 627, comma terzo, cod. proc. pen.

Ciò premesso, il Tribunale ha spiegato le ragioni sulla cui base ha ritenuto di potersi discostare dalla soluzione adottata dalla Suprema corte.

In primo luogo, ha sollevato il dubbio sul fatto che l'istituto della messa alla prova possa essere equiparato sic et simpliciter a un trattamento sanzionatorio: diversamente dal secondo, che non contempla alcun coinvolgimento dell'imputato nel processo decisionale e applicativo della pena, la sospensione del procedimento con messa alla prova presuppone la volontà dell'imputato che, non contestando l'accusa, si sottopone al trattamento.

Inoltre, andrebbe considerato che l'esito positivo del lavoro di pubblica utilità ha natura di causa estintiva del reato, determinando, di fatto, l'ampliamento del ventaglio di procedimenti speciali a disposizione dell'ente, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale.

In altri termini, in assenza di effetti sfavorevoli nei confronti dell'ente, l'applicazione della disciplina della messa alla prova sembrerebbe compatibile con il sistema di responsabilità da reato ex D. Lgs. n. 231/2001, dovendo escludersi la violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge: il divieto di analogia opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l'imputato.

La stessa giurisprudenza di legittimità, del resto, considera l'interpretazione analogica in bonam partem pacificamente ammessa nel campo penale.

Per il Tribunale, a ben vedere, le cause di estinzione del reato non hanno carattere eccezionale e, dunque, per le stesse può riconoscersi uno spazio per l'applicazione analogica.

Esse, difatti, non introducono una deroga alle norme generali e, quindi, possono essere oggetto di un procedimento di applicazione analogica proprio perché espressione incontestata di principi generali.

Neppure la sostenuta disomogeneità tra il sistema della responsabilità delle persone fisiche e quello della responsabilità a carico dell'ente varrebbe a escludere la possibilità per quest'ultimo di esser ammesso alla prova.

Lo stesso legislatore, infatti, opera un rinvio espresso alle norme del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all'imputato in quanto compatibili: si tratta, all'evidenza, di un espresso richiamo analogico operato dallo stesso legislatore.

Il caso esaminato

Nel caso in esame, la società aveva provveduto al risarcimento integrale del danno subito dalla persona offesa che aveva conseguentemente rimesso la querela sporta nei confronti dell'ente e dell'amministratore unico, con contestuale definizione del giudizio civile intrapreso presso il Giudice del Lavoro di Perugia.

Parimenti, era stato risarcito il danno in favore dei prossimi congiunti della persona offesa.

La società, quindi, oltre ad aver assolto ogni obbligazione risarcitoria, si era dotata di un modello di organizzazione, gestione e controllo, istituendo, altresì, un organismo di vigilanza deputato alla verifica dell'adeguatezza del modello.

Il programma di trattamento elaborato dall'U.E.P.E. di Perugia, in ossequio a quanto disposto dall'art. 464 bis cod. proc. pen., contemplava una serie di attività, prescrizioni e condotte, rispondenti alle caratteristiche proprie della messa alla prova, sostanziatesi in prescrizioni e altri impegni specifici (tra cui il volontariato), attinenti anche al lavoro di pubblica utilità.

Per il Tribunale, in definitiva, non vi era alcuna ragione per non ritenere ampiamente superate le perplessità manifestate dalle S.U.

Ed infatti:

Ritenuta, in conclusione, l'astratta compatibilità tra la disciplina della sospensione del procedimento con messa alla prova e il procedimento volto all'accertamento della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, il Tribunale ha giudicato che non sussistessero profili di inammissibilità della domanda.

Essendo, inoltre, soddisfatti i requisiti formali e sostanziali di cui all'art. 168 bis cod. pen. e 464 bis cod. proc. pen. e, non essendovi preclusioni di fase, poteva essere disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova per un periodo individuato in sei mesi, quale lasso temporale per adempiere a tutte le prescrizioni indicate.

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