Integra il reato di maltrattamenti e non di abuso dei mezzi di correzione, la condotta della maestra che, pur con intento educativo, sfoci in pratiche violente ed aggressive nei confronti dei bambini a lei affidati.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, annullando l’ordinanza che aveva negato gli arresti domiciliari ad un’insegnante di scuola d’infanzia, sul presupposto che le reiterate condotte violente poste in essere nei confronti dei suoi alunni, non integrassero il reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p., bensì quello meno grave di abuso di mezzi di correzione (in quanto non vi sarebbe stata una volontà persecutoria).
Secondo la Corte, il Tribunale del riesame ha tuttavia errato nel negare gravità indiziaria ai maltrattamenti in questione - ipotizzando la sussistenza della diversa fattispecie di cui all'art. 571 c.p. - pur a fronte di comportamenti non isolati ma ripetuti nel tempo nei confronti di minori, suscettibili di costituire risposte sproporzionate rispetto alle cause ed alle finalità perseguite. Comportamenti nella specie concretizzatisi nell'uso di metodi di natura fisica, psicologica e morale, spesso oggettivamente violenti (schiaffi, strattoni, sculacciate), esorbitanti dai limiti del mero rinforzo della proibizione e del messaggio educativo.
Né l’intenzione dell’insegnante di agire per finalità esclusivamente educative e correttive, costituisce elemento dirimente per qualificare il sistematico ricorso ad atti di violenza commessi verso i bambini, come abuso dei mezzi di correzione. .
Ed invero – conclude il Supremo Collegio con sentenza n. 48703 del 17 novembre 2016 – l’intenzione soggettiva non è di per sé idonea a far rientrare nella fattispecie ex art. 571 c.p., ciò che oggettivamente ne è escluso. Il nesso tra mezzo e fine di correzione va difatti valutato sul piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale ed al complesso normativo fornito dall'ordinamento giuridico (non dalle intenzioni dell’autore).
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