Falsa testimonianza del lavoratore se mente per salvare il proprio datore

Pubblicato il 22 aprile 2015 La Corte di Cassazione, Sesta Sez. Penale, con sentenza n. 16443 del 20 aprile 2015, ha riconosciuto la sussistenza del reato di falsa testimonianza in un caso in cui alcuni lavoratori, a conoscenza dell’occupazione di un cittadino extracomunitario presso la stessa officina dove lavoravano loro, avevano negato tale fatto nel corso del processo a carico del loro datore di lavoro, imputato del reato di cui all’art. 22, D.Lgs. n. 286/98, per aver occupato un cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno.

La Suprema Corte ha confermato la sussistenza del reato de quo, ritenendo che l’esimente prevista dall’art. 384, c. 1, c.p., non può essere invocata sulla base del mero timore di un danno alla libertà o all’onore, in quanto la stessa implica un rapporto di derivazione del fatto commesso dall'esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile conseguenzialità e non di semplice supposizione.

Nel caso di specie, non era emersa l’effettiva situazione dei ricorrenti rispetto all'addotto temuto pericolo di perdere il posto di lavoro nell’officina del soggetto beneficiato dalle loro false dichiarazioni testimoniali, attraverso indicazioni relative alla natura del loro rapporto di lavoro, alle eventuali condotte poste in essere dal datore di lavoro nei loro confronti a seguito dei primi accertamenti, alle condizioni personali e familiari degli stessi ricorrenti, ma c’era stata una mera evocazione di principio, sfornita di qualsiasi fondamento obiettivo.
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