Esonero contributivo lavoratrici madri: la parola alla Consulta

Pubblicato il 18 novembre 2024

La Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’articolo 1, commi 180 e 181, della Legge n. 213 del 2023.

Si tratta delle norme che prevedono un esonero contributivo a favore delle lavoratrici madri con contratto a tempo indeterminato, escludendo però le lavoratrici madri con contratto a tempo determinato e quelle con rapporti di lavoro domestico.

La questione di legittimità è stata sollevata dal Tribunale di Milano, che ha evidenziato come le disposizioni in questione possano violare diversi principi fondamentali sanciti dalla Costituzione.

Ma veniamo ai termini della questione

Esclusione esonero contributivo per contratti a tempo o domestici: legittima?

Con ordinanza del 23 ottobre 2024, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, si è pronunciato nell'ambito di una causa promossa da alcune lavoratrici madri assunte con contratti a tempo determinato, supportate da associazioni di tutela dei diritti (ASGI e APN ONLUS), nei confronti dell'INPS.

Al centro della controversia vi era l’esclusione di queste lavoratrici dall’esonero contributivo introdotto dalla Legge n. 213/2023, articolo 1, commi 180 e 181.

Tale beneficio - come anticipato - è riservato alle lavoratrici madri con contratti a tempo indeterminato, con esclusione sia delle lavoratrici a tempo determinato che di quelle con contratto di lavoro domestico.

Decontribuzione lavoratrici madri: la normativa

L’esonero contributivo introdotto dalla Legge n. 213 del 2023, all’articolo 1, commi 180 e 181, rappresenta una misura volta a ridurre i contributi previdenziali per alcune categorie di lavoratrici madri, con l’obiettivo dichiarato di sostenere la maternità e le famiglie numerose.

Il comma 180, segnatamente, prevede che, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2024 e il 31 dicembre 2026, le lavoratrici madri con almeno tre figli possano beneficiare di un’esenzione totale del 100% sulla quota dei contributi previdenziali per invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) a loro carico.

Questo beneficio è riconosciuto fino al mese in cui il figlio più piccolo raggiunge i diciotto anni di età, con un limite massimo di esonero fissato a 3.000 euro annui, riparametrati su base mensile.

Tuttavia, l’esonero si applica esclusivamente alle lavoratrici dipendenti con contratto a tempo indeterminato e non include le lavoratrici con contratti di lavoro domestico.

Il comma 181 estende temporaneamente la misura anche alle lavoratrici madri con due figli, ma solo per l’anno 2024. In questo caso, l’esonero viene riconosciuto fino al mese in cui il figlio più piccolo compie dieci anni. Anche in questa ipotesi, le beneficiarie devono essere lavoratrici con contratto a tempo indeterminato, ed è confermata l’esclusione delle lavoratrici domestiche.

In entrambi i casi, l’aliquota utilizzata per il calcolo delle prestazioni pensionistiche resta invariata, così da non compromettere i diritti previdenziali futuri delle lavoratrici che usufruiscono del beneficio.

La posizione delle lavoratrici ricorrenti

Secondo le ricorrenti, l’esclusione delle lavoratrici con contratti a tempo determinato o di lavoro domestico rappresenta una discriminazione, in quanto determina una disparità di trattamento rispetto alle lavoratrici a tempo indeterminato.

Questa esclusione, ossia, comporterebbe un impatto economico negativo per le lavoratrici escluse, alle quali verrebbe sottratta una quota della retribuzione, differenziandole dalle lavoratrici con contratto a tempo indeterminato che invece godono dell’esonero.

La discriminazione, ossia, si tradurrebbe in una violazione di norme costituzionali e sovranazionali.

I rilievi di incostituzionalità

Il Tribunale di Milano ha accolto tali argomentazioni, ritenendo che la norma presenti potenziali profili di incostituzionalità.

Il giudice del lavoro, in particolare, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli articoli 3, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 180 e 181, Legge n. 213/2023 nella parte in cui non riconosce l’esonero contributivo anche alle lavoratrici madri di tre o più figli (e, per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2024, anche alle lavoratrici madri di due figli) con rapporto di lavoro dipendente a tempo determinato e nella parte in cui esclude l’esonero contributivo per i rapporti di lavoro domestico.

Violazione del principio di uguaglianza

In primo luogo, è stata rilevata una possibile violazione dell’articolo 3 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza e vieta disparità di trattamento non giustificate.

La norma, limitando il beneficio contributivo alle lavoratrici con contratti a tempo indeterminato, non appare ragionevolmente giustificata, dato che la situazione soggettiva delle lavoratrici escluse è sostanzialmente comparabile a quella delle lavoratrici beneficiarie.

Per il Tribunale, in altri termini, le lavoratrici madri escluse dall’esonero sono poste in una condizione di svantaggio rispetto a quelle beneficiarie, pur trovandosi in situazioni personali e familiari sostanzialmente equivalenti.

Questa disparità di trattamento è stata giudicata priva di giustificazioni oggettive e ragionevoli.

Contrasto con l'art. 31 della Costituzione

Il Tribunale ha inoltre ritenuto che la normativa in oggetto possa violare l’articolo 31 della Costituzione, che impone allo Stato di favorire la famiglia e la maternità.

L’esclusione di alcune categorie di lavoratrici, in particolare quelle con contratti meno stabili o con rapporti di lavoro domestico, appare in contrasto con questo principio, dato che non tutela adeguatamente situazioni che richiedono sostegno economico e sociale analogo.

La norma, ossia, non garantisce una protezione adeguata alla maternità e alle famiglie numerose, penalizzando ingiustamente alcune categorie di lavoratrici madri.

Rispetto delle disposizioni del diritto dell’Unione Europea

Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è stato individuato nella violazione dell’articolo 117, comma 1, della Costituzione, che vincola la legislazione nazionale al rispetto dei principi sanciti dal diritto dell’Unione Europea.

Il Tribunale ha fatto riferimento alla clausola 4 della direttiva 1999/70/CE, che vieta trattamenti differenziati tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato in assenza di ragioni oggettive.

Inoltre, è stato rilevato il contrasto con direttive europee che tutelano la parità di trattamento, come la direttiva 2004/38/CE e altre che mirano a prevenire discriminazioni indirette fondate sulla nazionalità o sulla tipologia contrattuale.

Atti trasmessi alla Corte costituzionale

Il Tribunale, ritenendo, come detto, rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale: la norma censurata potrebbe risultare incompatibile non solo con i principi costituzionali italiani, ma anche con quelli europei.

Nella sua valutazione, il giudice del lavoro ha evidenziato che l’esclusione delle lavoratrici a tempo determinato e delle lavoratrici domestiche dall’esonero contributivo non trova giustificazione in obiettivi sociali o di politica occupazionale, risultando anzi lesiva per categorie già svantaggiate, come le lavoratrici precarie o straniere.

La Corte Costituzionale dovrà ora valutare la legittimità della norma alla luce delle violazioni costituzionali e sovranazionali sollevate.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del caso Il Tribunale di Milano ha esaminato una controversia promossa da lavoratrici madri con contratti a tempo determinato, supportate da associazioni di tutela dei diritti, contro l'INPS. Al centro della questione vi è l’esclusione di queste lavoratrici dall’esonero contributivo previsto dalla Legge n. 213/2023.
Questione dibattuta La normativa prevede l’esonero contributivo solo per le lavoratrici madri con contratto a tempo indeterminato, escludendo quelle con contratti a tempo determinato e domestico. Questa esclusione è stata contestata per potenziale violazione di principi costituzionali (articoli 3, 31 e 117) e di direttive europee.
Soluzione del Tribunale Il Tribunale ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni contestate. Ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, evidenziando la possibile discriminazione e l’irragionevolezza delle esclusioni previste dalla norma.
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