Diritto alla tutela contro l'insolvenza datoriale anche con soggiorno illegale

Pubblicato il 07 novembre 2014 Per la Corte di Giustizia Ue (sentenza del 5 novembre 2014, causa C-311/13) non è legittima la norma dei Paesi Bassi in forza della quale la normativa nazionale sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, non si applica ad un cittadino di un paese terzo che non soggiorna legalmente nello Stato membro interessato - in quanto non considerato lavoratore subordinato - quando, invece, lo stesso soggetto ha diritto ad una retribuzione che può costituire oggetto di ricorso contro il proprio datore di lavoro davanti agli organi giurisdizionali.

Per i giudici di Lussemburgo, la Direttiva 80/987/Cee, relativa alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, come modificata dalla direttiva 2002/74/Ce, va interpretata alla luce del suo fine sociale, che consiste nel garantire una tutela minima a tutti i lavoratori subordinati a livello dell’Unione in caso di insolvenza del datore di lavoro, mediante il pagamento dei crediti non pagati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e vertenti sulla retribuzione relativa ad un periodo determinato.

Gli Stati membri non possono pertanto definire, a loro discrezione, il termine «lavoratore subordinato» in modo tale da compromettere il fine sociale di detta direttiva.

In definitiva, per la Corte, le disposizioni della Dir. 80/987/Cee ostano ad una normativa nazionale sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore, che esclude un cittadino di un paese terzo dal diritto di percepire una prestazione d’insolvenza in ragione della illegalità del proprio soggiorno, mentre il medesimo cittadino di paese terzo è qualificato, in virtù delle norme di diritto civile di tale Stato membro, come «lavoratore subordinato», avente diritto ad una retribuzione.
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