E’ di questi giorni alla ribalta la questione dell’attribuzione anche ai tributaristi della possibilità di apporre il visto di conformità sulle dichiarazioni fiscali. Sul punto il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio in corso ordinando di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale (vedi sul tema “Cndcec su tributaristi e apertura verso il visto di conformità. Protesta dei sindacati”).
In merito va segnalata una pronuncia – ordinanza n. 3495 del 7 febbraio 2024 – della Corte di cassazione sui soggetti abilitati a tenere la contabilità e ed elaborare le dichiarazioni.
La causa è sorta per la stipula di un contratto d’opera tra Beta Srl e Alfa snc avente ad oggetto lo svolgimento di attività consistente:
Alfa chiedeva la nullità del contratto per avere Beta svolto un'attività c.d. protetta in quanto riservata ai dottori commercialisti e consulenti del lavoro, la condanna alla restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo, il risarcimento dei danni costituiti dai compensi corrisposti ad altri professionisti per la revisione della gestione amministrativa e fiscale della società e la riparazione del danno non patrimoniale sofferto.
Dunque, il committente riteneva non dovere versare il corrispettivo per le prestazioni svolte da Beta in quanto rientranti fra le attività riservate ai dottori commercialisti, agli esperti contabili e ai consulenti del lavoro.
Mentre il Tribunale accertava la nullità del contratto d'opera, la Corte d’appello, invece, accoglieva il ricorso di Beta. Si è giunti così di fronte ai giudici di Cassazione.
La Corte di legittimità più volte si è occupata di tracciare una linea di discrimine tra attività riservate alle c.d. professioni protette e attività c.d. libere.
Va premesso che prima dell’emanazione del Dlgs. n. 139/2005, le condotte di tenuta della contabilità aziendale, di redazione delle dichiarazioni fiscali e di effettuazione dei pagamenti non integravano reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere come disciplinate dal DPR n. 1067/1953 (Ordinamento della professione di dottore commercialista) e dal DPR n. 1068/1953 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale), anche se svolte da chi non fosse stato iscritto nei relativi albi in modo continuativo organizzato e retribuito.
Con il sopraggiungere del Dlgs. n. 139/2005, invece, emerge l'illiceità dal punto di vista penale - art. 348 c.p. “Esercizio abusivo di una professione” – in caso di svolgimento dell'attività da parte del professionista non iscritto all'albo, con conseguente nullità del contratto di prestazione d'opera.
Va segnalata la sentenza. 11545/2012 delle Sezioni Unite dalla Cassazione penale che ha sostenuto il principio di diritto per cui le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti, non integrano il reato di esercizio abusivo delle professioni di dottore commercialista o di ragioniere e perito commerciale, quali disciplinate, rispettivamente, dai DPR n. 1067 e 1068 del 1953, anche se svolte - da chi non sia iscritto ai relativi albi professionali - in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione. Infatti tali decreti non prevedevano alcuna riserva di attività.
Diversamente se le condotte sono effettuate in vigenza del DLgs. 139/2005, risultano riservate ai soli iscritti all’Albo se svolte in modo “organizzato, continuativo e retribuito”.
Non sussiste disallineamento tra quanto affermato dalla giurisprudenza penale e quella civile poiché con l'ordinanza n. 15004/2021, nel vigore del Dlgs n. 139/2005, è stato affermato che le condotte di tenuta della contabilità aziendale, di redazione delle dichiarazioni fiscali e di effettuazione dei relativi pagamenti, integrano il reato di esercizio abusivo della professione di esperto contabile se svolte da chi non si è iscritto ai relativi albi professionali in modo continuativo e organizzato, tale da creare - in assenza di indicazioni diverse – le apparenze di una tale iscrizione.
La sentenza della Corte territoriale, impugnata, non ha tenuto conto dei suddetti principi applicabili; pertanto la questione va rinviata per nuovo esame alla Corte di Appello di Milano, che, in diversa composizione, si atterrà ai riportati principi di diritto.
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