È costituzionalmente legittima la norma che prevede l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’INPS dei professionisti (nel caso di specie avvocati del libero foro) non iscritti alla Cassa di previdenza per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari. L’esercizio della funzione legislativa con disposizioni di interpretazione autentica deve però sempre tenere conto dell’”affidamento scusabile”. Pertanto chi ha riposto affidamento sull'applicazione delle norme secondo una interpretazione diversa da quella successivamente fissata dal legislatore deve essere esonerato dal pagamento delle sanzioni civili.
E' in buona sostanza quanto statuito dalla Corte costituzionale nell'importante sentenza n. 104, depositata il 22 aprile 2022, che torna su un tema molto discusso e oggetto di un lungo contenzioso tra l’INPS e le categorie dei professionisti destinatari (dal 2009) di una intensa attività di accertamento avviata nell’ambito della “Operazione Poseidone”.
Due avvocati del libero foro nel 2010 (anno a cui si riferiscono i redditi dell'attività professionale oggetto dell’accertamento compiuto dall’INPS) erano iscritti all’albo, ma non alla Cassa previdenziale forense.
Gli stessi avvocati erano tenuti al versamento del contributo integrativo (art. 11 della legge n. 576 del 1980) e che costituiva presupposto per la fruizione di prestazioni assistenziali di carattere mutualistico, ma non erano soggetti anche al versamento di quello soggettivo e di conseguenza non erano destinatari delle prestazioni previdenziali per vecchiaia, anzianità, inabilità e invalidità, nonché di quelle di reversibilità e indirette dovute, per il caso di morte dell’assicurato, al coniuge e ai figli minorenni superstiti, restando privi di tutela previdenziale.
Nel procedimento avviato dall'INPS contro i due avvocati, con ordinanza del 2 febbraio 2021 (r. o. n. 86 del 2021), il Tribunale ordinario di Catania, in funzione di Giudice del lavoro, ha sollevato:
Oggetto del giudizio di legittimità costituzionale sono le disposizioni contenute nell'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e nell'art. 18, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, norma “dichiaratamente” di interpretazione autentica. Cosa prevedono?
L’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 prevede, con decorrenza dal 1° gennaio 1996, l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata costituita presso l’INPS, «finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti», sia dei «soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», sia dei «titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49» (art. 53 dopo la riforma del 2004).
L’art. 18, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011 dispone che l’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, tenuti all’iscrizione presso l’apposita gestione separata INPS, «sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti ed ordinamenti».
Gli enti a cui la norma interpretativa fa riferimento sono sia le casse, gli enti e gli istituti previdenziali già istituiti per le diverse categorie professionali sia quelli costituiti successivamente.
Le norme esposte sono state sin da subito, anche prima dell’emanazione della disposizione interpretativa, applicate estensivamente dall'INPS.
L'Istituto ha infatti da sempre sostenuto che obbligati ad iscriversi alla Gestione separata non sono solo i soggetti che svolgono abitualmente attività di lavoro autonomo il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi professionali, ma anche i soggetti che, pur svolgendo attività il cui esercizio sia subordinato a tale iscrizione, non hanno tuttavia, per ragioni reddituali, l’obbligo di iscriversi alla cassa di previdenza professionale e restano quindi obbligati al versamento del solo contributo cosiddetto integrativo, non anche di quello soggettivo, a cui consegue la costituzione di una vera e propria posizione previdenziale.
L’obbligo di iscrizione, inoltre, vi sarebbe non soltanto nei casi di esercizio per professione abituale dell’attività di lavoro autonomo ma, dal 1° gennaio 2004, anche nei casi di esercizio di attività di lavoro autonomo occasionale, allorché il reddito annuo da essa derivante superi l’importo di euro 5.000,00 (art. 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326). E tra questi ultimi professionisti rientrano gli avvocati del libero foro non iscritti alla Cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge n. 576 del 1980.
Diversamente, la Corte di cassazione, in alcune pronunce precedenti la disposizione di interpretazione autentica (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 19 giugno 2006, n. 14069, 16 febbraio 2007, n. 3622 e 22 maggio 2008, n. 13218), aveva univocamente affermato un’interpretazione restrittiva dell’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, secondo la quale l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata non avrebbe trovato applicazione nel caso di attività professionale forense, sussistendo già una specifica cassa di previdenza con una relativa regolamentazione speciale dell’obbligo di iscrizione e di pagamento dei contributi.
Successivamente, a partire da Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 18 dicembre 2017, n. 30344 e n. 30345, è prevalsa l’interpretazione, ormai consolidata in una regola di diritto vivente, secondo cui l’unico versamento contributivo rilevante ai fini dell’esclusione dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, è quello – cosiddetto soggettivo – correlato all’obbligo di iscriversi alla propria gestione di categoria e suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata posizione previdenziale e non già quello cosiddetto integrativo, che non attribuisce al lavoratore il diritto a prestazioni pensionistiche per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte.
La Consulta analizza le peculiarità della Gestione separata INPS.
La Gestione separata è stata costituita presso l’INPS al fine di realizzare l’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria (per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) alle attività di lavoro autonomo rimaste escluse dai regimi pensionistici di categoria già precedentemente operanti o che sarebbero stati successivamente istituiti.
La disciplina introdotta con questa disposizione si affianca, per un verso, a quella contenuta nel D.Lgs. n. 509 del 1994 (di privatizzazione, dal 1° gennaio 1995, delle casse, degli enti e degli istituti previdenziali professionali ) e nel comma 25 dell’art. 2 della legge n. 335 del 1995 (delega al Governo per emanare norme volte ad assicurare, a decorrere dal 1° gennaio 1996, la tutela previdenziale in favore dei soggetti esercenti attività autonoma di libera professione, il cui esercizio era subordinato all’iscrizione ad appositi albi o elenchi, ma ancora privi di un’autonoma gestione categoriale. Delega attuata con l’emanazione del D.Lgs. n. 103 del 1996).
La Gestione separata, rileva la Consulta, ha una funzione di chiusura del sistema e trova il suo fondamento nell’esigenza della “universalizzazione” della tutela previdenziale, rispondendo alla finalità di estendere la copertura assicurativa ai soggetti e alle attività non coperti da forme di assicurazione obbligatoria già realizzate o da realizzare nell’ambito della categoria professionale di riferimento, in un'ottica di progressiva estensione della tutela assicurativa sia sotto il profilo soggettivo, in quanto riferita a tutte le categorie di lavoratori autonomi, sia sotto il profilo oggettivo, in quanto riferita ad ogni attività esercitata, con eventuale pluralità di iscrizioni nelle ipotesi di pluralità di attività svolte.
Per tali lavoratori l’obbligo di iscrizione non dipende, dunque, dalle caratteristiche della specifica attività esercitata (come nelle gestioni dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e in quelle dei lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, coltivatori diretti), ma esclusivamente dal reddito tratto dal lavoro autonomo svolto che può essere di due tipologie: a) reddito derivante dall’esercizio, abituale ancorché non esclusivo, di arti e professioni (art. 49, comma 1, T.U imposte redditi); b) reddito tratto dall’ufficio di amministratore e sindaco di società, nonché dagli altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 49, comma 2, lettera a, T.U. imposte redditi).
Alla luce delle argomentazioni suesposte, la Consulta ritiene non fondata la prima questione di legittimità costituzionale della disposizione interpretata (art 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995) e di quella interpretativa (art. 18, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011) secondo l'interpretazione estensiva consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità e divenuta regola di diritto vivente, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata dell’INPS a carico degli avvocati del libero foro iscritti al relativo albo, ma non iscritti – né tenuti a iscriversi – alla Cassa di previdenza forense (e non obbligati, quindi, al versamento del contributo soggettivo) per mancato raggiungimento delle soglie di reddito o di volume di affari di cui all’art. 22 della legge n. 576 del 1980.
Evidenzia la Corte Costituzionale che “se la cassa professionale, proprio nell’esercizio del potere di autoregolamentazione riconosciutole dalla legge, decide di non includere taluni professionisti (eventualmente per mancato raggiungimento di soglie reddituali stabilite da propri organi interni) nell’obbligo di versamento di contributi utili a costituire una posizione previdenziale, l’operatività della Gestione separata, quale istituto residuale a vocazione universalistica, vede espandersi la sua sfera di operatività, sempre che, beninteso, ne ricorrano i relativi presupposti; ossia che ricorra l’esercizio abituale di un’attività professionale che abbia prodotto un reddito superiore a un determinato importo”.
Tale meccanismo non solo non si pone in contraddizione con il regime previdenziale categoriale, ma ne integra l’operatività al fine dell’attuazione di una più ampia finalità mutualistica.
E' invece fondata è invece la questione di illegittimità costituzionale sulla norma interpretativa introdotta dall’art. 18, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, nella parte in cui non prevede che l’obbligo degli avvocati del libero foro (non iscritti alla cassa di previdenza forense per mancato raggiungimento delle soglie di cui all’art. 22 della legge n. 576 del 1980) di iscriversi alla Gestione separata istituita presso l’INPS decorra dalla data della sua entrata in vigore.
Se il legislatore, nell’esercizio della legittima funzione di interpretazione autentica, era sì libero di scegliere, tra le plausibili varianti di senso della disposizione interpretata, anche quella disattesa dalla giurisprudenza di legittimità dell’epoca, avrebbe però dovuto farsi carico di tutelare l’affidamento che ormai era maturato in costanza di tale giurisprudenza.
La Consulta ritiene che la reductio ad legitimitatem della norma censurata può essere operata solo prevedendo l’esonero dalle sanzioni civili per la mancata iscrizione alla Gestione separata INPS relativamente al periodo precedente l’entrata in vigore della norma di interpretazione autentica.
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