Il requisito della minore gravità può essere riconosciuto solo ad esito di una valutazione globale del fatto, che tenga conto del grado di coartazione esercitato sulla vittima, delle sue condizioni fisiche e mentali, dell’entità della compressione della libertà sessuale e del danno arrecato, anche in termini psichici, al soggetto passivo. La sola reiterazione delle condotte ed il contesto in cui le stesse si siano realizzate – nella specie, in ambiente scolastico, dal professore nei confronti delle proprie allieve – possono non essere sufficienti ad escludere l’attenuante in questione.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, terza sezione penale, annullando la sentenza che negava l’attenuante della minore gravità nei confronti di un insegnante accusato di aver commesso reiterate violenze sessuali aggravati a danno di diverse scolare anche minorenni.
Il criterio della reiterazione della condotta nel tempo, ha chiarito il Collegio, non vale di per sé ad escludere la minore gravità allorquando gli atti criminosi siano stati compiuti nei confronti di soggetti tra loro diversi.
Invero, il naturale aggravamento dell’intensità della lesione al bene protetto, che è indubbia conseguenza della reiterazione stessa, ha una sua ragione d’essere laddove il soggetto passivo del reato sia sempre il medesimo. Ma nel caso in cui i soggetti passivi – come nella specie – siano sempre diversi tra loro e ciascuno indipendente dall'altro, non vi è alcun motivo per non considerare, sotto il profilo della loro gravità, i singoli fatti in maniera autonoma, atteso che la lesività della condotta non presenta alcun profilo di progressività.
Con riferimento al contesto in cui le condotte si sono realizzate, infine, a parere della Corte con sentenza n. 25434 del 20 giugno 2016, appare fallace nel suo affermato automatismo – come postulato nella sentenza impugnata - la negazione di qualificare come fatto di minore gravità un episodio di violenza sessuale commesso dall'insegnante in ambiente scolastico.
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