Trattando una controversia promossa da una società cooperativa verso amministratori e sindaci, questi accusati di non aver operato la richiesta vigilanza sui gestori dell’ente, la Corte di cassazione riassume gli impegni che gravano sul collegio sindacale.
La responsabilità civile dei sindaci - ex art. 2407, c.c. – sorge sia quando vengono commessi da parte degli amministratori atti di mala gestio che rechino danni alla società che quando i sindaci non vigilino sull’operato degli amministratori, in violazione dei doveri posti a loro carico dalla legge e che ciò abbia causato un danno.
L’attività dei sindaci si esplica in: controllo sull’amministrazione, vigilanza sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo, verifica della regolare tenuta della contabilità, della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili e dell’osservanza delle norme per la valutazione del patrimonio sociale.
Quando sorge il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori?
Per la Corte di cassazione, sentenza n. 24045 del 6 settembre 2021, va accertato che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto
Tali strumenti consistono:
Vista l’ampiezza dei controlli che ricadono sul sindaco, è vero che non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde nel momento è possibile dire che, se si fosse attivato utilmente in base ai poteri di vigilanza che l'ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l'ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato.
Nella fattispecie in esame, non emerge che il collegio sindacale, a fronte del rapido declino della società cooperativa e dell'aumento delle perdite di esercizio, si sia allertato ed abbia posto in atto le azioni suddette quali richiesta di informazioni e verifica delle scritture contabili. Ciò avrebbe fatto emergere l'illecita attività distrattiva dei fondi sociali.
Pertanto, viene confermato il giudicato dei giudici di secondo grado.
Invece, viene condivisa la doglianza circa la quantificazione del danno: la Corte territoriale aveva condannato amministratori e sindaci in solido a risarcire il danno.
Perché vi sia solidarietà nel risarcimento del danno occorre l’unicità del fatto dannoso alla cui produzione abbiano concorso diverse persone. Cioè, il fatto illecito deve essere la risultante di una cooperazione di attività nella produzione di un medesimo evento lesivo.
Differentemente, tale responsabilità solidale non ricorre nel caso di azioni di più soggetti da cui derivino distinti effetti dannosi, quando, quindi, le condotte realizzate da più soggetti abbiano leso separatamente interessi diversi del danneggiato.
Nel caso affrontato, non si era al cospetto di unico fatto dannoso e/o di unico danno, ma di più fatti e danni, tanti quante sono le operazioni di sottrazione di somme poste in essere dal presidente infedele. In altri termini, vi sono stati danni molteplici verificatisi in momenti diversi, nei quali, peraltro, l'organo di controllo avevano diversa composizione.
Pertanto, la quantificazione del danno non può essere comune ed indistinta fra tutti i sindaci, ma deve tenere conto del rispettivo contributo causale a tali fatti.
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