Con ordinanza n. 12139 depositata l'11 giugno 2015, la Corte di Cassazione, VI -2 sezione civile, ha respinto il ricorso di un soggetto che si era visto condannare – su domanda dei vicini – alla rimozione di telecamere che aveva posizionato davanti alla propria abitazione.
La Corte d'Appello, infatti, aveva ritenuto che, stante la posizione in cui erano state collocate le telecamere, esse erano potenzialmente idonee a riprendere la proprietà dei vicini resistenti, o comunque, l'area in cui gli stessi esercitavano la servitù di passaggio.
Giudicati poi irrilevanti, dalla Corte territoriale, i fatti eccepiti dall'attuale ricorrente, ovvero, che una delle due telecamere non era funzionane, che l'immagine ripresa dall'altra era di pessima qualità, che la videocamera non era collegata ad alcuno strumento di registrazione e che riprendeva solo parte del selciato della strada e dunque, solo gli arti inferiori degli eventuali passanti.
Invero, secondo i giudici dell'appello, collegare una telecamera ad un monitor, modificare la visuale di ripresa o ancora, sostituire le ottiche, erano da considerarsi operazioni semplici, da potersi effettuare senza alcuna possibilità di controllo da parte dei vicini; dunque, con potenziale lesione della loro privacy.
Avverso detta pronuncia, il ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte tuttavia, nel respingere la censura, ha rilevato come il ricorrente, pur adducendo un vizio di motivazione della sentenza impugnata, abbia in realtà inteso richiedere una rivisitazione dei fatti e delle circostanze, muovendo censure che non possono trovare ingresso in sede di legittimità, in quanto involgono apprezzamenti di fatto riservati esclusivamente al giudice di merito (e nel caso di specie, congruamente motivati).
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