Con riferimento al reato di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, il dolo è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che chi ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall'emittente.
In questo modo, infatti, egli consegue un indebito vantaggio fiscale in quanto l'Iva versata dall'utilizzatore della fattura non è stata pagata dall'esecutore della prestazione.
Così, una volta appurata l'oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei vari passaggi in cui essa si estrinseca, è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte, e conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo.
Lo ha ricordato la Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 36415 del 7 ottobre 2021, nel rigettare il motivo d’impugnazione con cui la difesa di un imputato, accusato del reato di cui all'art. 2 del D.lgs. n. 74/2000, aveva finito per sovrappone due concetti completamente diversi della teorica del diritto penale sostanziale, vale a dire il dolo e lo scopo della condotta.
Il dolo – ha spiegato la Corte - nelle sue varie forme del reato sta ad indicare la finalizzazione della condotta al risultato voluto dalla norma; del tutto differente è, invece, lo scopo della condotta che può essere il più vario e che, lungi dall'interferire con il dolo, influisce solo sul trattamento sanzionatorio.
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